Qualche giorno fa, l’architetto Stefano Boeri, ex assessore alla Cultura del comune di Milano, ha inviato una lettera al ministro per i Beni culturali Massimo Bray, pubblicata dal Corriere della sera. Nella missiva, egli lamentava l’eccesso di burocrazia che opprime la possibilità di fare musica dal vivo nei locali in Italia. Il testo è diventato anche una petizione online, e sul sito change.org ha superato in pochi giorni le 10mila sottoscrizioni. La proposta è diretta a una persona, Massimo Bray, che conosce bene l’importanza della musica live, essendo stato per anni nel consiglio di amministrazione (ha lasciato la carica ora che è ministro) della Notte della Taranta, uno dei più importanti festival di musica popolare in Europa. La lettera, che è stata apprezzata da personalità di ogni schieramento politico («Mi ha telefonato Roberto Maroni, presidente della Regione Lombardia, dicendo che è una proposta bellissima e che ne avrebbe parlato anche lui a Bray», ha detto Boeri a Rolling Stone), chiede in sostanza che si arrivi a una semplificazione delle procedure di ottenimento dei permessi, uscendo così dal labirinto in cui molti locali serali finiscono quando chiedono di poter fare suonare dei gruppi nei loro spazi.

Soprattutto per i piccoli locali che ospitano musica acustica, la situazione attuale potrebbe essere corretta con poco sforzo. «Noi crediamo, gentile Ministro –scrive Boeri-, che una legge italiana sulla musica dal vivo sia oggi cruciale. Una legge che, in accordo con la Siae e l’ex Enpals (due oneri fissi per qualsiasi pubblico spettacolo) annulli le procedure burocratiche e i permessi per i locali -di qualsiasi tipo- che ospitano chi si esibisce dal vivo. Ci serve una normativa che stabilisca delle regole ragionevoli, come l’autocertificazione in rete degli spettacoli, una soglia massima di spettatori, orari condivisi per la musica su tutto il territorio nazionale; regole valide per tutti: gestori, artisti, fruitori, residenti».

È una questione che abbraccia molti aspetti, da quelli economici (più attività vuol dire più opportunità per i musicisti, ma anche per i gestori dei locali), a quelli di ordine pubblico (avere più offerta eviterebbe assembramenti di molte persone nei pochi locali che hanno un’offerta di musica live, ma distribuirebbe probabilmente sul territorio cittadino le persone, decongestionando le zone più affollate). Boeri fa poi un triste elenco di locali che nel corso degli anni hanno chiuso i battenti nel capoluogo lombardo: «Per parlare solo di Milano, in pochi anni abbiamo perso il Derby, il Capolinea, la Casa 139; luoghi che hanno ospitato dal vivo le sonorità di artisti diversi e straordinari come Jannacci, Chet Baker e gli Afterhours». Ed è solo un elenco parziale ovviamente. Nella lettera si fa riferimento anche a una legge inglese che ha segnato un cambio di rotta simile a quello che ora viene invocato anche in Italia: «In Inghilterra dallo scorso ottobre è in vigore una legge, la “Live Music Act”, che liberalizza e gli eventi di musica dal vivo con meno di 200 spettatori entro le ore 23, e che incentiva le formazioni che si esibiscono “in acustico”.?Una legge che ha già cambiato il panorama musicale delle città inglesi e che ha avuto nel nostro Paese una fortissima eco mediatica». Tra le riforme a costo zero che potrebbero cambiare il panorama culturale (e favorire l’economia), eccone una a cui prestare attenzione.