di Federico Caruso

Dal primo di gennaio, in Italia si suona un po’ meno. È infatti entrato in vigore il limite imposto dalla legge 100 del 2010, che vieta le prestazioni di lavoro autonomo dei dipendenti delle fondazioni lirico-sinfoniche, nel caso di mancata sottoscrizione del contratto collettivo nazionale di lavoro.

Uno potrebbe dire: se il problema è il contratto, che si firmi, così tutti potranno continuare a portare avanti i propri progetti paralleli. Ma se questa firma non arriva un motivo c’è, ed è dato dal fatto che c’è una trattativa in corso tra le parti sociali. «Da sei anni stiamo contrattando con l’Anfols -l’associazione delle fondazioni lirico sinfoniche- che dà la netta impressione di non voler concludere -spiega al Giornale della musica Silvano Conti, coordinatore nazionale di Slc-Cgil. […] Ci si dice che non ci sono le risorse per rinnovare il contratto, nemmeno quel minimo che servirebbe ad adeguare le retribuzioni al costo della vita. Per forza: nella legislatura precedente erano stati stanziati diciotto milioni per il contratto ma durante questa legislatura sono stati utilizzati per altri scopi. Propagandisticamente si sparge la voce che siamo superpagati, ma all’estero guadagnano molto di più, e che siamo degli scansafatiche, perciò ci vogliono aumentare gli orari di lavoro: ma sanno cosa significa provare sette o otto ore di seguito?».

In questo pasticciaccio, i cui contorni vanno sfumando man mano che si approfondisce la materia, e non si capisce più chi ha ragione e chi ha torto, a rimetterci è l’arte. Perché in questo modo i musicisti impiegati in fondazioni, ma sotto un contratto diverso da quello nazionale, non potranno essere retribuiti per prestazioni in altre formazioni. Il che significa due cose: la prima, che questi stessi musicisti non potranno fare esperienze diverse che ne arricchirebbero il curriculum e alzerebbero la qualità delle orchestre da cui provengono; la seconda, che il posto lasciato vacante dagli artisti “vincolati” dovrà essere riempito da musicisti stranieri, andando a sbilanciare gli equilibri che le diverse formazioni si danno in termini nazionalità dei componenti.

A dar voce ai diretti interessati dal provvedimento Danilo Rossi, prima viola della Scala: «Deve essere chiaro che le attività di lavoro autonomo erano consentite solo previa autorizzazione e per prestazioni di alto valore artistico, fatti salvi, comunque, il non aggravio economico per il teatro e le esigenze produttive. Quindi per me è chiaro che questa legge fa parte di una strategia contro le masse artistiche, che viene da molto lontano, e mira alla progressiva smobilitazione delle orchestre italiane, che non sono sentite come un servizio pubblico ma come un peso».

Torna in mente il manifesto pubblicato di recente dal Sole 24 Ore, cui abbiamo dato spazio su questo blog. Forse oggi è un po’ tardi per opporsi a questa legge, ma in ogni caso è possibile firmare l’appello su questa pagina. In attesa di una risposta dal Ministero per i beni e le attività culturali -nel frattempo passato dalle mani di Sandro Bondi a quelle di Lorenzo Ornaghi-, che per il momento tace.