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Il 15 novembre si sono svolti al teatro Eliseo di Roma gli “Stati generali della cultura”, organizzati da Il Sole 24 Ore, Accademia nazionale dei Lincei e Istituto dell’Enciclopedia italiana Treccani. L’evento muove dal manifesto lanciato dal Sole a febbraio, e ha riunito gli interventi di diversi esponenti della politica e della cultura. Grande partecipazione e anche qualche contestazione, com’è normale quando la platea è viva e ha a cuore il tema. Pubblichiamo qui di seguito un estratto dall’intervento del capo dello Stato Giorgio Napolitano, che nel suo discorso (qui la versione integrale) ha richiamato l’importanza della cultura e della ricerca come volani per la crescita.

[…] Innanzitutto – se posso dire qualcosa a proposito del titolo di questa assemblea – forse «emergenza dimenticata» non è l’espressione più adatta. Perché non è una questione di emergenza: quando parliamo di cultura parliamo di una scelta di fondo trascurata in un lungo arco di tempo. E le questioni che abbiamo davanti oggi non sono nate un anno fa, con questo governo; la scelta che auspichiamo per la cultura resta da fare perché non è stata fatta in modo conseguente per anni, per non dire per decenni, nel nostro Paese.

Il Manifesto del Sole-24 Ore e il Rapporto 2012 della Federcultura ci dicono molto a proposito della cultura come motore o moltiplicatore dello sviluppo – questa espressione è ritornata anche nell’intervento del ministro Fabrizio Barca – perché quello che ci deve assillare è come rilanciare lo sviluppo nel nostro Paese: sviluppo produttivo, sviluppo dell’occupazione e, soprattutto, prospettiva di valorizzazione delle personalità e dei talenti dei giovani, delle giovani generazioni. Questo deve essere il nostro assillo. E dobbiamo sapere che la cultura può rappresentare un volano fondamentale per avviare una nuova prospettiva di sviluppo non solo in Italia ma anche, più in generale, in Europa. Ho apprezzato anche il contributo che in questi documenti si dà ad un’analisi delle diverse componenti della cultura, sotto il profilo delle ricadute sulla crescita dell’economia e concretamente sulla crescita del Pil. […]

Persiste in Italia – perché non è nata ieri – una sottovalutazione clamorosa di queste tematiche, di queste analisi, di queste ricerche: una sottovalutazione clamorosa da parte delle istituzioni rappresentative del mondo della politica, del governo nazionale, dei governi locali e anche di diversi settori della società civile. C’è una sottovalutazione clamorosa, quindi, delle conseguenze che invece bisognerebbe trarne sul piano delle politiche pubbliche; e non inganni la parola “pubbliche”, perché ci sono politiche come quella fiscale rivolte a sollecitare e rendere sostenibili anche iniziative private, del settore privato e del settore sociale: non si tratta di affidare tutto al pubblico, tutto allo Stato.

[…] Però, io pongo una domanda, chiaramente molto problematica, anzi critica: ma è fatale che per riuscire in questo sforzo di risanamento della finanza pubblica si debba ancora procedere con tagli rilevanti a impegni di finanziamento in ogni settore di spesa, tagli più o meno uniformi o, come si dice – è diventato un termine abbastanza consueto – “lineari”, senza tentare di far emergere una nuova scala di priorità nell’intervento pubblico, e quindi nella ripartizione delle risorse? Non credo, onestamente – pur avendo grande considerazione per chi deve far quadrare i conti pubblici: badate che non è uno scherzo per nessuno – che ciò sia fatale e che ci si debba arrendere a fuorvianti automatismi. La logica della spending review dovrebbe essere di ottenere risparmi di spesa, in qualsiasi settore, attraverso modifiche strutturali, modifiche di meccanismi generatori di spreco e distorsioni pesanti, e attraverso l’avvio di processi innovativi nella produzione di servizi pubblici e nella costruzione di programmi di intervento pubblico.