Il tema del sovraffollamento carceri non dovrebbe avere bisogno di richiami, scadenze, appelli. È una questione talmente grande (e in Italia, grazie al lassismo di questa classe politica, è diventata enorme) che dovrebbe essere affrontata con la massima urgenza, e con l’intenzione di riportare la situazione a una normalità non episodica, ma di lungo periodo. Ieri il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha inviato il suo primo messaggio alle Camere, per sollecitare un rapido accoglimento del problema da parte delle due aule del Parlamento e del governo. Numerosi erano stati i suoi messaggi ufficiosi al potere legislativo ed esecutivo, inviati indirettamente nel corso di convegni, interviste, occasioni ufficiali. Ma ora arriva il primo richiamo diretto, su cui la classe politica dovrà riunirsi e discutere. Le possibilità che finisca tutto in un nulla di fatto sono comunque alte, visto che il messaggio del presidente tecnicamente non implica alcun vincolo, ma ci auguriamo che il peso di un atto ufficiale da parte di Napolitano non sia completamente ignorato.

Anche in questa occasione, il presidente non si limita al richiamo ma propone un indirizzo, elencando alcune possibili vie per uscire dalla situazione attuale, che ci vede ospitare nelle carceri italiane 64.758 detenuti a fronte di una capacità di accoglienza di 47.615 posti. Peraltro, il 28 maggio 2014 diventerà esecutiva la sentenza della Corte europea dei diritti umani, che ha accolto il ricorso di alcuni detenuti italiani stabilendo il carattere sistemico dell’inefficienza carceraria del nostro Paese. La risoluzione ha fissato quel termine affinché l’Italia rientri nei parametri previsti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, dopodiché scatteranno le sanzioni previste a risarcimento dei detenuti che hanno sollevato l’appello, e saranno riaperte -con forte probabilità di essere accolte- le istanze di tutti gli altri carcerati che hanno fatto ricorso, generando ulteriori obblighi di risarcimento a carico dello Stato.

Per frenare questa situazione, oltre ovviamente a sanare un livello carcerario medio che Napolitano ha definito «umiliante» agli occhi degli altri Paesi, le direzioni indicate dal capo dello Stato non presentano grandi novità rispetto a quanto già si dice da molto tempo: una depenalizzazione di alcuni reati che possono essere puniti con sanzioni amministrative; un impegno maggiore per mettere in atto forme alternative di detenzione quali gli arresti domiciliari; la messa in atto di meccanismi di probation con cui il condannato possa essere subito avviato al reinserimento in società, con un percorso individuale che favorisca un processo di rieducazione; la riduzione dei tempi di custodia cautelare (il 19 per cento dei detenuti è in attesa di giudizio, un altro 19 per cento aspetta la sentenza di secondo grado). La seconda strada indicata è un aumento della capacità di accoglienza, con la costruzione di nuove strutture. Mentre la terza è relativa alle misure straordinarie, ossia l’indulto e l’amnistia, che avrebbero l’effetto immediato di alleggerire le strutture carcerarie abbreviando la parte finale della condanna di molti detenuti.

Come ha sottolineato Napolitano, le tre vie vanno percorse tutte e in maniera congiunta. Così come è urgente rientrare presto nelle misure imposte dalla sentenza di Strasburgo, è altrettanto importante mettere le basi per un sistema che sia punitivo e rieducativo, ma mai vessatorio. Ciò che temiamo, per come ci ha abituato la politica degli ultimi decenni, è che ci si fermi alla decretazione d’urgenza, che ci si accontenti di mettere delle pezze al sistema (leggi: amnistia e indulto) in modo da evitare il peggio nell’immediato, ma che non ci sia la capacità di pensare a una riforma di lungo periodo. Apprezziamo quindi il messaggio di Napolitano, anche se non aggiunge nulla di nuovo al dibattito, per avere riportato all’attenzione del Parlamento la questione. Ci permettiamo solo un piccolo appunto al lungo testo elaborato dal presidente, ossia l’assenza di qualsiasi riferimento al rientro dei due marinai Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, tuttora reclusi in India in attesa di essere giudicati su una vicenda avvenuta in acque internazionali. Si tratta di una questione che attiene solo marginalmente al sistema carcerario, ma visto che da tempo non se ne parla più, è stato un peccato non sfruttare l’occasione per ricordarla.