L’estate scorsa è stata segnata dalla campagna di criminalizzazione contro le ong che effettuavano assistenza alle imbarcazioni con migranti in difficoltà nel Mediterraneo, tra le coste italiane e quelle libiche. Ne è nata una polemica sfociata nella pubblicazione di un codice di condotta per chi opera in quelle acque, sottoscritto da alcune associazioni e non da altre. Al momento non ci sono prove della presunta connivenza tra ong e “scafisti”, eppure il danno d’immagine per tutto il comparto resta Per evitare che in futuro si ripresentino casi come questo, con accuse pesanti che arrivano dalle istituzioni e dall’altra parte un mondo associativo impreparato a parare i colpi, è nato l’Osservatorio sulla criminalizzazione della società civile. Si parla in generale di “società civile” perché non sono state solo le associazioni a subire un duro attacco.
Nel corso dei mesi ci sono stati anche numerosi casi di cittadini accusati di “reati umanitari”, per aver dato un passaggio in auto a rifugiati siriani o avere ospitato dei migranti in casa propria. In molti casi non si tratta di veri e propri reati, ma di provvedimenti amministrativi contro i quali i cittadini possono fare ricorso, ma nell’attesa (spesso lunga) di una risposta, intanto devono rispettarli. Ilaria Sesana, su Altreconomia, spiega su quale base normativa poggiano questi provvedimenti: «La falla è in una direttiva europea, la “Facilitation directive”, datata 2002. Un testo stringato, una pagina e mezza appena, in cui si afferma il principio secondo cui chiunque aiuti un migrante irregolare ad entrare in Europa o durate il suo viaggio all’interno dei confini dell’Unione sta violando la legge. “La direttiva però stabilisce che gli Stati membri possono introdurre la cosiddetta ‘clausola umanitaria’, che mette operatori e volontari al riparo dal rischio di finire sotto processo”, spiega Paula Schmid Porras, avvocato spagnolo che difende i tre soccorritori dell’Ong Proem Aid che nel gennaio 2016 sono stati arrestati in Grecia con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e oggi rischiano fino a dieci anni di carcere. Tuttavia, l’applicazione della clausola umanitaria resta opzionale. “Non c’è una linea che separi nettamente gli smugglers (contrabbandieri, ndr) dagli attori umanitari – spiega Schmid Porras –. La direttiva non stabilisce cosa gli operatori umanitari possono o non possono fare. Ciascun Paese e ciascun giudice può applicare la normativa in modo diverso”».
Non sempre vengono contestati reati, dicevamo, ma a volte sì. Al momento i casi sono concentrati fuori dall’Italia: «Lisbeth Zornig, già garante nazionale dell’infanzia in Danimarca, è stata processata per traffico di esseri umani e condannata a pagare una multa di circa tremila euro per aver dato un passaggio in auto ad alcuni profughi siriani. In Francia, lo scorso novembre, sono finiti sotto processo l’agricoltore Cédric Herrou, che per mesi ha accolto nella sua fattoria i profughi in arrivo dall’Italia, e il docente universitario Pierre-Alain Mannoni che rischia sei mesi di carcere per aver dato un passaggio in auto a tre giovani eritree. Non ci sono stati arresti di massa, ma pochi casi “esemplari” che sono serviti a trasmettere in maniera chiara il messaggio».
È dunque una buona notizia l’istituzione dell’Osservatorio, visto quanto è facile insinuare il dubbio che ci sia del “marcio” nelle associazioni, senza per forza avere delle prove. Per queste ultime è invece molto più difficile dimostrare la bontà della propria condotta. Intendiamoci: come tutti i sodalizi tra esseri umani, di sicuro anche tra le associazioni si nasconde qualcuno animato da intenzioni non proprio trasparenti, ma non si può fare leva su questo per screditare l’intero panorama associativo. «“Ci proponiamo di dare sostegno legale, individuando pratiche di auto-aiuto, a chi viene colpito da provvedimenti vessatori, infamanti e discriminatori, e di articolare una contro-narrativa mediatica che mostri quanto di straordinario producono le Ong e i cittadini solidali, spesso riparando alle mancanze, quando non agli abusi, delle istituzioni”, sottolineano i promotori. L’Osservatorio, operativo fin dal giorno della sua costituzione, si è strutturato in due gruppi di lavoro: il primo impegnato sui temi della comunicazione, il secondo nel sostegno e nella difesa degli attivisti incriminati per atti di solidarietà e nella promozione a livello europeo e nazionale di misure legislative e normative. Del primo gruppo faranno parte professionisti della comunicazione – giornalisti, registi, documentaristi, vignettisti, blogger – che si rivolgeranno a giornalisti e media nazionali, locali ed esteri, con cui sono o entreranno in contatto. Del secondo gruppo faranno parte avvocati, giuristi e attivisti che si impegneranno nella difesa di Ong e cittadini solidali, e in un’opera di lobbying nei confronti delle istituzioni nazionali ed europee».
Un’utilissima task force, dunque, soprattutto in un momento storico in cui ci si preoccupa dei “reati di solidarietà” – che tali non si possono nemmeno definire, visto che non violano alcuna legge –, mentre si dimentica che il diritto penale italiano punisce proprio il loro opposto, i delitti di omessa solidarietà.
(Foto di Rémi Walle su Unsplash)