La parità di genere è un traguardo ancora lontano in Italia. Negli ultimi anni si è fatto qualcosa, a livello legislativo, per imporre una maggiore rappresentanza di donne in alcuni ambiti, pubblici e privati. I risultati in termini numerici si sono visti, e infatti nell’attuale legislatura le donne in Parlamento hanno superato per la prima volta il 35 per cento del totale. Ciò che i dati numerici rischiano però di mascherare è la qualità, più che la quantità, di questa maggiore partecipazione. Se si va a guardare il peso degli incarichi, il quadro resta ancora pesantemente sbilanciato a favore degli uomini.

Commissioni parlamentari e amministrazioni locali

Nel Parlamento italiano c’è un gran numero di commissioni che si occupano di temi specifici, e hanno un ruolo importante nel determinare il processo legislativo sulle questioni di loro competenza. Attualmente, come riporta un articolo di Orizzonti Politici per Lavoce.info, solo 8 su 28 tra le commissioni permanenti sono presiedute da donne. In totale, nei 70 di vita della Repubblica italiana, sono state 30 su 450. Vuol dire che più di un quarto del totale si devono alla legislatura in corso. Nelle amministrazioni comunali e regionali le cose non vanno molto meglio: «anche se la rappresentanza locale è sempre più inclusiva, secondo il rapporto del Senato sulla parità di genere, meno del 15 per cento dei sindaci sono donne».

Think tank, fondazioni e associazioni

Openpolis ha analizzato la composizione di genere all’interno di soggetti che hanno una diretta influenza sul panorama politico ed economico, seppure spesso senza affiliazioni esplicite: think tank, fondazioni e associazioni. Anche qui le donne sono «meno presenti e perlopiù confinate in organizzazioni specifiche e in posizioni meno incisive, rispetto a quelle ricoperte dagli uomini». Nelle 153 strutture censite da Openpolis, si registrano 731 membri donne su 3.050 (il 23,9 per cento). Ma anche qui, al di là del numero assoluto, se si guarda quante di queste hanno ruoli di peso la percentuale si abbassa. Solo in 16 casi su 131 una donna ha “posizioni di potere” (12,2 per cento). La distribuzione varia anche a seconda del tipo di fondazione. Solo 3 donne sono presidenti di fondazioni politiche, su un totale di 38, mentre «la percentuale più alta di donne si registra in organizzazioni che si concentrano su temi specifici, come questioni civili e sociali».

Magistratura

Le donne sono entrate in magistratura per la prima volta nel 1963, con l’abrogazione di una legge che le escludeva da qualsiasi incarico giurisdizionale. Nonostante l’ingresso tardivo, oggi «le donne superano gli uomini per numero di magistrati. Nel 2020 sono 5.308 su un totale di 9.787 (54 per cento), mentre gli uomini 4.479 (46 per cento)», scrive Openpolis. Anche in questo caso, però, tale sovrarappresentazione viene meno man mano che si sale nella gerarchia degli incarichi. Guardando al Consiglio superiore della magistratura (Csm), solo un quarto dei membri attuali è di sesso femminile. Un ruolo di particolare rilevanza è quello di vicepresidente visto che, come spiega Openpolis, la presidenza è formalmente in capo al Presidente della Repubblica, ma è il vicepresidente che ne svolge i compiti. A oggi nessuna donna ha mai ricoperto questo incarico, né ha fatto parte del comitato di presidenza.

Un problema complesso

A leggere questi dati viene in mente che negli ultimi anni, nei brevi periodi in cui l’argomento è stato al centro del dibattito, ci si è forse persi dietro a un falso problema, ossia che l’introduzione delle “quote rosa” agisse in contraddizione rispetto al principio meritocratico. Che in linea teorica è anche vero, ma se si guarda la composizione demografica del paese e la si confronta con la parziale ricognizione appena riportata, ci si rende conto di quanto sia evidente la sottorappresentazione delle donne nei ruoli importanti, a qualunque livello. Il problema è molto più complesso, e le quote rosa non lo risolvono (e anzi rischiano di restituire un’immagine falsata, come abbiamo visto). Bisogna lavorare sul contesto in senso più ampio. Alcuni spunti arrivano dall’articolo di Orizzonti Politici: «In primo luogo, la scarsità di figure modello a cui ispirarsi potrebbe avere un effetto negativo sull’interesse femminile per la carriera politica. Inoltre, proprio per la scarsa rappresentanza di genere, si formano basse aspettative di successo, che scoraggiano ulteriormente la partecipazione. Un altro motivo che potrebbe trattenere parte delle donne è la concreta mancanza di tempo da dedicare all’attività politica, perché più impegnate nella gestione domestica e nella propria occupazione lavorativa».

(Foto di Ben Rosett su Unsplash)