Mentre l’attenzione pubblica era catturata da altre questioni (alcune molto delicate, come il reintegro del personale sanitario “no vax”, altre piuttosto secondarie, come la regolamentazione dei rave party), il Memorandum Italia-Libia è stato rinnovato per altri tre anni.
Stiamo parlando dell’accordo siglato nel 2017 dagli allora presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e ministro dell’Interno Marco Minniti, che impegnava l’Italia a finanziare il governo libico per la gestione di centri di detenzione per le persone in arrivo da vari paesi africani e intenzionate a migrare verso l’Europa e l’istituzione di una sorta di guardia costiera, la cui composizione e i cui metodi sono talmente lontani da quelli di una reale guardia costiera che nessuno, al di fuori degli ambiti istituzionali, si azzarda a chiamarla così.
Purtroppo la conoscenza che abbiamo rispetto ai contenuti dell’accordo si ferma a queste informazioni poco dettagliate, perché la scelta fatta allora era volta proprio a mantenerne riservati i contenuti. Un memorandum, a differenza di un trattato bilaterale, non deve infatti passare attraverso il vaglio del Parlamento e i suoi contenuti restano segreti. Al Parlamento è richiesto soltanto di votare sulla scelta di continuare o meno a rispettarlo, e quindi a finanziarlo.
Una scelta decisamente poco trasparente, che allora fu fatta sulla base di una presunta emergenza migratoria che si voleva arginare a ogni costo, ma che oggi richiederebbe una messa in discussione e un ripensamento.
Negli anni è diventato sempre più chiaro che nei centri di detenzione libici avvengono violenze di ogni tipo da parte delle autorità, che spesso arrivano a ricattare le famiglie delle persone rinchiuse chiedendo loro dei soldi per sperare di rivedere in vita la persona detenuta. Questo spesso avviene con l’invio di video in cui il detenuto è torturato e sottoposto a vessazioni. È altrettanto appurato che le violenze che avvengono nei centri di detenzione portano spesso alla morte delle persone confinate.
I pattugliamenti della cosiddetta “guardia costiera” libica hanno come scopo di intercettare le persone che tentano di fuggire via mare, al prezzo di enormi rischi per la propria vita e di un investimento economico spropositato a favore di trafficanti, per riportarle negli stessi centri di partenza, dove subiranno ulteriori violenze e abusi.
Contro tale accordo si sono schierate oltre 40 associazioni e organizzazioni, chiedendo (invano) al Parlamento di intervenire per impedire il rinnovo del Memorandum. Questo infatti si rinnova automaticamente ogni tre anni se nessuna delle due parti interviene. Il termine ultimo era lo scorso 2 novembre, ma nessuno ha ritenuto opportuno inserire il tema all’ordine del giorno del Parlamento appena insediato.
«Dal 2017 ad oggi quasi 100.000 persone sono state intercettate in mare dalla Guardia costiera libica e riportate forzatamente in Libia – si legge nell’appello –, un paese che non può essere considerato sicuro. La vita dei migranti e rifugiati in Libia è costantemente a rischio, tra detenzioni arbitrarie, abusi, violenze e sfruttamento. Significa non avere alcun diritto e nessuna tutela».
Come si diceva, gli unici dati certi che abbiamo sono quelli finanziari, tema su cui in Italia siamo spesso molto sensibili: «Dal 2017 la Guardia costiera libica ha ricevuto oltre 100 milioni in formazione e equipaggiamenti (57,2 milioni dal Fondo fiduciario per l’Africa e 45 milioni solo attraverso la missione militare italiana dedicata). “Soldi pubblici e risorse destinate alla cooperazione e allo sviluppo, impiegate invece per il rafforzamento delle frontiere, senza alcuna salvaguardia dei diritti umani, né alcun meccanismo di monitoraggio e revisione richiesto dalle norme finanziarie dell’Ue”».
(Foto di David Aler su Unsplash)
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