Sentirsi dire di essere meravigliosi o addirittura perfetti stimola la nostra necessità di autoaccrescimento. Tale necessità può però essere un ostacolo tra noi e una vita serena e appagante. Un articolo di Arthur C. Brooks, tradotto da Internazionale, affronta il tema.
Immaginate di sentirvi tristi e inadeguati. Qualcuno che vi ama vuole aiutarvi e dice qualcosa di incoraggiante, per esempio: “Sei perfetto così come sei!”. Sembra una bella cosa da dire, ma in realtà è forse la frase più pericolosa che qualcuno possa rivolgerci – o che possiamo rivolgere a noi stessi – quando ci sentiamo insicuri. Queste parole, infatti, provocano un’enorme dissonanza cognitiva.
“È così che ci si sente a essere perfetti?”, ci domandiamo quando l’effetto positivo del complimento si esaurisce. A quel punto le conclusioni logiche sono due: o affrontiamo uno status quo deprimente senza speranza di miglioramento oppure accusiamo il mondo esterno per la nostra infelicità. La prima conclusione porta alla depressione, mentre la seconda ci spinge verso una rivolta rabbiosa nei confronti di un universo malefico.
La verità è che non siamo perfetti come non lo è nessun altro. E questa sì che è una splendida notizia. Se riusciamo ad accettare questa realtà avremo la speranza di migliorare noi stessi e la nostra vita, riuscendo finalmente a essere felici. Noi umani abbiamo una tendenza innata a esagerare le nostre qualità positive e a sentirci migliori degli altri. Si chiama “bias di conferma” e produce tutta una serie di percezioni distorte.
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(Foto di Ahmed Zayan su Unsplash)
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