GIORNALINO_AVIS_DICEMBRE_2019

di cembre 2019 Associazione, pag 4 Le donazioni multicomponent Intervista, pag 7 Marcello Ravveduto “Lo spettacolo della mafia” semestrale anno XXXIII N. 02 Poste Italiane S.p.a. – Spedizione in abbonamento postale - Aut. N°495 Periodico ROC

dicembre 2019 | a tu per tu con l’avis 2 sommario Associazione, pag 5 Le donazioni multicomponent Intervista, pag 7 Lo spettacolo della mafia Sport, pag 10 I paletti da rispettare Natura, pag 12 L’ambiente e la monnezza Teatro, pag 14 Ridere, antiracket culturale A TU PER TU CONL’AVIS Semestrale Direttore: Pierangelo Colavito Direttore responsabile: Marino Pessina Redazione: Carlo Parolo Cesare Raimondi Sergio Barazzetta Romano Storino Marco Parotti Marika Giustizieri Beatrice Colombo Miriam Giudici Riccardo Dell’Acqua Ivan Borlandelli Gli articoli firmati o siglati rispecchiano il pensiero dell’autore e non impegnano il giornale. Tiratura: 7.554 copie Amministrazione, Redazione e Direzione: Avis Legnano Via Girardi 19/G tel. 0331/453333 fax 0331/596620 Elaborazione grafica: Eo Ipso Srl - Legnano (MI) Stampa: Eo Ipso Srl - Legnano (MI) Registrazione Tribunale di Milano n.6 del 9/1/87 Iscrizione ROC 31837 www.avis-legnano.org www.zeronegativo.org

dicembre 2019 | a tu per tu con l’avis 3 editoriale Sembra ieri, eppure sono passati 85 anni da quando la sezione Avis di Legnano ha mosso i primi passi. Nel 2020 festeggeremo un importante traguardo per un’associazione che, muovendosi a cavallo di due secoli, ha mantenuto fermi i principi del dono e della solidarietà. E per celebrare questa importante ricorrenza ci siamo lasciati ispirare dalla nota frase di Giovanni Falcone che trovate sopra e che ci ha spinto ad affrontare in questo numero di “A tu per tu con l’Avis” un tema mai banale: la legalità. Argomento ampio, forse troppo, che merita però di non passare mai di moda. Se i fatti di cronaca non smettono di richiamarci a questo valore, noi abbiamo voluto prenderne un po’ le distanze, per osservarlo – quando possibile – da un’angolatura un po’ diversa. L’illegalità rischia troppo spesso di oscurare gli spettacoli che abbiamo davanti. Natura, cultura, arte e persino sport sono tutte forme di spettacolo che vengono offuscate da chi sceglie di non rispettare le regole. Se il richiamo ambientale più che una moda oggi è una necessità, la disciplina sportiva ci riporta alla dimensione educativa che il calcio, così come il tennis, il basket e la corsa..., dovrebbe conservare. Per questi 85 anni facciamo un passo indietro, cerchiamo occhiali nuovi per guardare la realtà, nella consapevolezza che il cambiamento non sia rinnegare la propria storia, ma, forGli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini. Giovanni Falcone ti del proprio passato, stia nell’osservare con spirito diverso una società in evoluzione. Servono sguardi nuovi, ma serve rimanere fedeli ai nostri principi. Serve una maggior coscienza civile per costruire il mondo di domani; un mondo dove però dobbiamo essere noi a fare il primo passo. E la donazione di sangue è un ottimo punto di partenza.

dicembre 2019 | a tu per tu con l’avis 4 CONVOCAZIONE ASSEMBLEA ANNUALE Come da delibera del Consiglio Direttivo del giorno 17 Dicembre 2019, l’Assemblea Ordinaria dei Soci di Avis Legnano è convocata per Lunedì 24 febbraio 2020 Alle ore 19.30 in prima convocazione (con la presenza della maggioranza dei Soci), alle ore 20.30 in seconda convocazione (qualunque sia il numero dei presenti). L’assemblea si terrà presso la Sala Consiliare del Comune di Busto Garolfo, Via Magenta 25 a Busto Garolfo (MI) con il seguente ordine del giorno: 1. Insediamento dell’Ufficio di Presidenza e Nomina questori di sala 2. Lettura del Verbale della Commissione Verifica Poteri 3. Relazione Programmatica delle attività del Consiglio Direttivo 4. Relazione del Direttore Sanitario 5. Relazione del Tesoriere e presentazione del Bilancio Consuntivo anno 2019 6. Relazione dell’Organismo di Controllo e del Collegio dei Revisori dei Conti 7. Discussioni sulle relazioni (Programmatica, Amministrativa) e del Bilancio Consuntivo anno 2019 e loro votazioni 8. Presentazione del Bilancio Preventivo anno 2020 9. Discussione e ratifica del Bilancio Preventivo anno 2020 10. Nomina Commissione Verifica Poteri per il quadriennio 2021-2024 11. Nomina delegati Assemblea Provinciale/Regionale/Nazionale e del capo delegazione Data l’importanza dell’Assemblea sono certo che Vi sentirete impegnati a partecipare attivamente a questo momento associativo Il Presidente, Pierangelo Colavito P.S. PRESENTARSI MUNITI DI TESSERA ASSOCIATIVA Coloro che volessero prendere visione del Verbale dell’Assemblea 2019 e del Bilancio Consuntivo 2019, lo potranno fare in sede (via Girardi 19/G) nei giorni 19/20/21 Febbraio 2020, durante l’orario d’ufficio. assemblea

dicembre 2019 | a tu per tu con l’avis 5 associazione Le donazioni multicomponent di Salvatore Esposito Direttore sanitario Avis Legnano Se pensando alla donazione di sangue pensiamo solo alla donazione di sangue intero, commettiamo un errore. Questo tipo di donazione, che è ancora la più diffusa e che consiste nel raccogliere il sangue così come scorre nelle nostre vene, in realtà è solo uno dei diversi tipi di donazione possibile. Inoltre non dobbiamo dimenticare che il sangue raccolto con la donazione di sangue intero non verrà mai utilizzato così come è, ma è previsto un processo di lavorazione, successivo alla raccolta, che consiste nel separarlo nei tre componenti principali: globuli rossi, plasma e il cosiddetto “buffy-coat” che è costituito principalmente dalle piastrine. Ciascuno di questi componenti ha uno specifico impiego nella pratica clinica per la cura delle malattie: ad esempio i globuli rossi trovano impiego principalmente nella cura delle a- nemie (comequel- le conseguenti ad emorragie); le piastrine servono per curare le persone che presentano problemi di coagulazione; infine dal plasma, ulte- riormente lavora- to a livello idus- triale, è possibile ottenere diverse sostanze come l’al- bumina, utilizzata nella cura delle ustioni, i fattori della coagulazione, impiegati per la cura dei difetti di coagulazione, e infine le immunoglobuline che servono per preparare i vaccini. Oggi, grazie allo sviluppo delle tecniche trasfusionali di raccolta, è possibile frazionare il sangue del donatore nel momento stesso della raccolta attraverso un procedimento chiamato di aferesi: questa procedura avviene con l’aiuto di una macchina, chiamata separatore cellu- lare, che permette di ottenere: globuli rossi (eritrocitoaferesi), piastrine (piastinoaferesi)e/oplas- ma (plasmaferesi) separatamente. Questa possibilità di ottenere un singolo componente del sangue presenta vantaggi a carico sia del donatore che del ricevente.

dicembre 2019 | a tu per tu con l’avis 6 associazione Infatti, per quanto riguarda i donatori, vi è la possibilità di adattare il tipo di donazione alle sue caratteristiche ematologiche al fine di evitare variazione dei valori ematici: ad esempio i donatori che presentano bassi livelli di globuli rossi e di ferro dovrebbero essere indirizzati verso la plasmaferesi, che togliendo dal sangue solo il plasma, lascia invariato il patrimonio pre-donazione di globuli rossi e di ferro. Nella donazione in aferesi molto importanti sono i vantaggi anche a carico del ricevente: in questo caso dobbiamo sempre ricordare che la trasfusione è in effetti un trapianto di cellule che quindi mette a contatto del ricevente componenti che sono, per quanto testati e scelti, diversi dai propri e che, soprattutto nelle persone che necessitano di ripetute trasfusioni, potrebbero provocare una vera e propria reazione di “rigetto”. In questo la donazione in aferesi consente di ottenere da un solo donatore una quantità maggiore del singolo componente ne- cessario: ad esempio per una trasfusione di piastrine da un unico donatore con la piastrinoaferesi è possibile ottenere la stessa quantità di piastrine ottenute da circa sei donazioni ordinarie: questo permette di ridurre notevolmente il rischio di rigetto del ricevente. Un ulteriore passo in avanti delle tecniche di aferesi negli ultimi anni ha consentito di sviluppare una nuova forma di donazione che è la multicomponent, cioè la possibilità di donare in una sola seduta contemporaneamente due componenti che possono essere: globuli rossi + plasma (eritroplasmaferesi), glubuli rossi + piastrine (eritropiastrinoaferesi), plasma + piastrine (plasmapiastrinoaferesi), due unità di globuli rossi (eritrocitoaferesi). Questa evoluzione è sempre finalizzata a ot- tenere una maggior quantità di derivato del sangue da singola donazione, sempre per ridurre il rischio di “rigetto” nel ricevente, nel rispetto delle caratteristiche del donatore. In definitiva le nuove tecniche di donazione rappresentano una opportunità ulteriore di valorizzazione al massimo del gesto generoso di chi dona, consentendo di indirizzare il donatore verso forme di donazione finalizzate a soddisfare la sempre crescente richiesta di sangue e dei suoi componenti, a tutela soprattutto dei soggetti riceventi a maggior rischio, come i trapiantati e i politrasfusi.

dicembre 2019 | a tu per tu con l’avis 7 intervista Robert De Niro nei panni di Al Capone nel film “Gli intoccabili” di Brian De Palma Il Don Vito Corleone messo in scena da Marlon Brando ne “Il Padrino” è passato allo storia. Così come indimenticabile è l’interpretazione di Robert De Niro nei panni di Al Capone ne “Gli intoccabili”. E che dire di Gomorra? La serie tv italiana ispirata dal best seller di Roberto Saviano ha fatto numeri da record. Partendo da “Il giorno della civetta” di Damiano Damiani (1968), il tema della mafia ha fatto irruzione sul piccolo e grande schermo, ispirandosi ad una letteratura ben diffusa ed entrando così nella vita di tutti i giorni. Dal cinema alle serie tv, passando per internet e i social media fino ai negozi di moda, la narrazione mafiosa si è evoluta attraverso la comunicazione nel nuovo millennio. Marcello Ravveduto, professore di Digital Public History alle Università di Salerno, Modena e Reggio Emilia, ha voluto analizzare questo fenomeno nel suo ultimo libro “Lo spettacolo della mafia. Storia di un immaginario tra realtà e finzione” (Edizioni Gruppo Abele, 2019). «La mafia è uno spettacolo di per sé», racconta l’autore. «È tanto attrice quanto spettatrice di una narrazione che la riguarda. E questo elemento negli anni l’ha fatta conoscere. Molto di quello che sappiamo della mafia è legato a libri, romanzi, film e serie tv. La mafia è stata mediatizzata ed è entrata a far parte della nostra vita». Del resto, inutile negarlo, «sappiamo com’è un mafioso, anche se non lo abbiamo mai incontrato», sostiene Ravveduto. Sappiamo come parla un mafioso, cosa dice, come si atteggia. In questo, il rapporto con i media – vecchi e nuovi – ha permesso di alimentare un immaginario mafioso sdoganando, di fatto, un certo modo di essere e di fare. Ma se scrittori e registi hanno attinto a piene nelle storie di mafia, anche gli stessi mafiosi hanno seguito pedissequamente la rappresentazione che i media davano (e danno) loro. «Esempio è l’attenzione che Totò Riina ha riservato alla miniserie televisiva “Il capo dei capi”, ma anche i tantissimi libri a tema che sono stati trovati nei covi dei mafiosi latitanti», prosegue l’autore. «L’immaginario diventa un circuito al punto che, certe volte, le rappresentazioni diventano autoreferenziali». Ma se prima l’immaginario si nutriva di racconti orali di eroi antichi e moderni, oggi il terzo millennio porta con sé nuovi media che necessitano di narrazioni aggiornate. È la Google geLo spettacolo della mafia

dicembre 2019 | a tu per tu con l’avis 8 intervista “Lo spettacolo della mafia. Storia di un immaginario tra realtà e finzione” (Edizioni Gruppo Abele, 2019) neration dei mafiosi 2.0, quella che utilizza WhatsApp e le condivisioni sui social network per narrare sé stessi e creare leggende, consenso, miti e personaggi. «La mafia è diventata un brand», prosegue Ravveduto. «I giovani mafiosi che fanno personal branding hanno compreso che è un fattore di successo l’appartenere ad aziende che producono benessere, stando al loro modo di vedere, e ricchezza. Vi è quindi un’estetica rivolta a questi elementi con una modalità di racconto che è quella del glamour. Basta vedere come si presentano sui social: il profilo instagram di un giovane mafioso è glamour; la mafia è quindi glamour». Il brand “mafia” è diventato anche un marchio per la cucina italiana all’estero. L’autore cita esempi da Kansas City al Minnesota, passando da Santiago del Cile e Linz (Austria) dove compaiono insegne quali “Mafia Mike’s Pizza”, “The Pizza Mafia”, ma anche semplicemente “La Mafia” e “The Mafia”. Fino a Buenos Aires, qui il locale “Arte de Mafia” si pubblicizza con la colonna sonora de Il Padrino e presenta un menù con piatti chiamati Bruschetta Provenzano, Fico ‘Ndrangheta e Ravioli Al Capone. In un “Mafia Style” ancora fermo al Padrino, come lo definisce l’autore, si fa leva su una serie di stereotipi che ancora resistono nel tempo, ma sono frutto soprattutto della sottovalutazione del fenomeno mafioso fuori dall’Italia. «La mafia è talmente visibile che diventa invisibile», afferma Ravveduto. Non fa più notizia, verrebbe da dire. E l’antimafia come si è comportata? «La rappresentazione dell’antimafia è arrivata in ritardo rispetto all’evoluzione storica della mafia. È legata al lutto provocato dalla mafia, al ricordo delle vittime. Paradossalmente però, questo immaginario determina le condizioni che quando non c’è questa esperienza non ci sono le mafie». Estremizzando, senza sangue non ci sarebbe organizzazione criminale. «Al Nord è così: le mafie non si sentono e non si vedono. E, non essendoci violenza, c’è una sorta di “negazionismo” delle mafie. Il mafioso si presenta in giacca e cravatta e non fa paura; diventa elemento della globalizzazione, un elemento che sta dappertutto e in nessun luogo». A chi è rivolto il libro? «È un testo che vuole essere uno strumento per fare in modo che i formatori, i docenti e gli insegnati siano in grado di interagire in connessione con i social per co-

dicembre 2019 | a tu per tu con l’avis 9 struire un nuovo immaginario e non lasciare indietro alcuni aspetti, considerandoli secondari. La rappresentazio- ne non è finzione, occorre intermediare la conoscenza, superare le barriere poste dai nuovi media per entrare in contatto con una generazione ipermediale che però non ha cultura dei media». I giovani usano molto i social network, spesso ignorando il loro funzionamento. Secon- do Ravveduto, servireb- be accorciare la distanza digitale tra le generazioni. «Ogni volta che sottolineo cosa dice un trapper, le persone si meravigliano: spesso ge- nitori e insegnanti semplicemente lo ignorano. Eppure parliamo di video che hanno oltre 60 milioni di visualizzazioni e che hanno riferimenti espliciti al mondo mafioso o raccontano storie di gang di spacciatori paragonandole a quelle dei grandi campioni dello sport. In questo, sono cambiati anche i gusti musicali dei giovani criminali: lo dimostra il fatto che sempre più spesso postano selfie in tenuta da rapper». Cosa fare? La scelta è «aprire gli occhi davanti a certi fenomeni e offrire degli strumenti in più per leggere la realtà che ci circonda», conclude Ravveduto. Del resto, più che di violenza, il concetto mafioso necessita di consenso. Come scrive nella prefazione al libro Enzo Ciconte, tra i massimi esperti in Italia delle dinamiche mafiose e docente di “Storia della mafia” al Collegio Santa Caterina dell’Università di Pavia: «Nessun mafioso che si rispetti ha mai abbandonato il pensiero che è necessario costruire attorno a sé consenso, adesione convinta, condivisione e convenienza, perché la paura e il terrore non sono mai stati sufficienti, da soli, a garantire la sopravvivenza». intervista Marcello Ravveduto

dicembre 2019 | a tu per tu con l’avis 10 sport I paletti da rispettare «Non puoi fare a m e n o di guardare la partita senza pensare: “Avrei potuto puntare cinque sterline sul primo gol”. Le scommesse hanno rovinato lo sport: non ti godi più lo spettacolo». A dirlo è Derry, ventisettenne inglese intervistato dall’Università di Bath per uno studio sui tifosi di calcio tra i 18 e i 35 anni e il loro rapporto con il mondo delle scommesse. Ma non si tratta solamente di una piccola e isolata testimonianza: il calcio, come più in generale lo sport, rischia di diventare un mondo sfocato dove i confini sono molto labili e il rispetto delle regole - elemento che dovrebbe essere principe per chi pratica una disciplina - lascia spazio all’interesse. «Il confine tra ciò che viene percepito come legale e tra quanto invece è ritenuto illegale è molto complesso. Ma è proprio capendo dove si posiziona questo confine che possiamo intervenire», premette Giovanni Lodetti, psicologo dello sport, membro del consiglio Panathlon Milano e co-responsabile del settore Cultura e Scuole. «Lo sport è un luogo umano di relazioni; è anche un luogo di regole, ma se queste vengono sconvolte non si capisce più il confine». Tra una regola condivisa e una non condivisa la linea non è sempre così netta. «Ad esempio, le scommesse sportive. È un problema attuale ed è un problema diffuso perché nei giovani rischia di spostare il baricentro dal gesto sportivo all’interesse», prosegue Lodetti. Si guarda quindi al vantaggio personale, perdendo di vista tutto il resto. «Tutto questo ha ricadute psicologiche non da poco: dove ci sono regole condivise, l’individuo si predispone ad un dato comportamento. Ma vivere in un mondo dove tutto è sfumato rende anche gli stessi comportamenti sfumati ed è difficile stabile il fil rouge, individuare la relazione. Le regole sono fatte per condividere uno spazio, se però saltano si creano dei problemi». Quale ambiente privilegiato di educazione e, in particolare, di educazione alla legalità, lo sport è però facilmente “impressionabile”: quanti eleggiamo a campioni e, quindi a modelli, non sempre meritano il posto che diamo loro. Più che di cattivi maestri, Lodetti preferisce indicarli come «bad influence. Sono le cattive compagnie che portano a rendere quotidiano un comportamento che fino a qualche tempo fa era considerato “out” e a far- loconsiderare“nonout”».

dicembre 2019 | a tu per tu con l’avis 11 sport Si tratta di uno spostamento di valori e di regole; di un processo di facilitazione che fa rendere accettabile ciò che invece non dovrebbe esserlo. «In una fase di crescita questo è importantissimo: sono quei paletti che vengono posti quali elementi di riferimento per il proprio comportamento. Ma se questi vengono continuamente spostati in avanti, risulterà difficile un domani farli riportare indietro», prosegue lo psicologo. In questo un ruolo importante viene affidato al contesto sociale. «Accanto ai genitori, che sono la parte più importante dell’impianto educativo e pedagogico, vi sono la scuola dove i ragazzi passano molto tempo e le società sportive. Se questi paletti vengono continuamente spostati, non ci sarà più un punto di riferimento; anzi, i confini saranno sempre sfumati. E così anche la percezione di ciò che è legale e ciò che non lo è. Una situazione che porta il ragazzo a muoversi non secondo un fattore etico morale, ma sulla base dell’interesse e del vantaggio». Cosa fare? «La risposta è nella disciplina sportiva stessa», risponde. «Gli sport sono un ottimo ambito educativo per una vittoria o una sconfitta leale, senza dover ricorre a malie. Per quanto le malie siano state usate in ogni epoca, i giochi regolamentati rappresentano degli spazi privilegiati di relazione e condivisione dove si eviterà di andare oltre i paletti: il valore sarà dato dalla prestazione sportiva». Per non tradire il senso educativo dello sport, molto dipende dal territorio, «dalle persone che portano il messaggio e dalle storie che hanno. Gli allenatori, le stesse società sportive ma anche la dirigenza, se hanno una mission sana e condivisa, faranno passare il messaggio di una condivisione di uno spazio per crescere insieme. Lo sport diventerà un percorso vincente a lungo termine e non la risposta immediata ai bisogni del genitore, dell’allenatore o del dirigente che non ha una mission alta». L’auspicio, ovviamente, è che lo sport, in particolare quello che vede protagonisti giovani e giovanissimi – ma anche gli adulti ed i professionisti non sono esentati – possa dare sempre un messaggio di condivisione di regole, di inclusione e di sprono; possa essere un luogo dove i confini sono sempre nitidi così da capire cosa è legale e cosa non lo è, senza dare adito a scorciatoie o a corsie preferenzia- li di dubbia interpretazione.

dicembre 2019 | a tu per tu con l’avis 12 natura L’ambiente e la monnezza Si chiama Daniele, ha 13 anni ed abita ad Arzano, un paese di oltre 30mila abitanti in provincia di Napoli. Ha un tumore e alla fine dello scorso mese di novembre è stato operato a Bologna in un complesso intervento che ha portato alla rimozione di due costole per pulire la zona colpita dal male. La sua è solamente l’ultima storia di una terra schiacciata dai rifiuti, dove l’illegalità ha superato ogni immaginazione compromettendo non solamente campi, boschi e città, ma soprattutto la salute delle persone che vi abitano. E tanti, troppi, sono quelli che padre Maurizio Patriciello ha visto andarsene ancora giovani, giovanissimi. La sua parrocchia, nel quartiere Prato Verde di Caivano (a pochi chilometri da Arzano), sorge nel bel mezzo di quella che è diventata tristemente famosa come la Terra dei Fuochi; dove i fuochi non sono suggestivi lampi che colorano il cielo, ma i roghi tossici che in continuazione divorano i rifiuti pericolosi scaricati illegalmente. È una terra ferita in modo profondo - i veleni che stanno inquinando le falde acquifere, i terreni, l’aria, secondo le inchieste in corso, dovrebbero raggiungere il loro apice di contaminazione nel 2064 - dove il principio è uno solo: «Dottò, la monnezza è oro», come rispose un pentito della camorra napoletana al magistrato che lo interrogava. Perché dall’immondizia possono scaturire fiumi di denaro. «I primi a capirlo furono gli industriali disonesti che provvidero a informare i camorristi campani. Insieme, uniti in un abbraccio pestifero e mortale, si arricchirono a dismisura sulle spalle della povera gente col traffico dei rifiuti tossici», scrive padre Maurizio nel suo blog. «Mentre la politica era in “tutt’altre faccende affaccendata”, per anni hanno avuto le mani libere per i loro traffici. Che gusto c’è a interessarsi d’immondizie? Siamo attratti dal bello non dai cumuli puzzolenti. Se il problema non ce l’hai sotto casa, in genere guardi altrove». Pur rifiutando l’etichetta di prete ambientalista, la voce di padre Maurizio si è alzata, e continua ad alzarsi, forte e chiara a denunciare una situazione non più sopportabile. Sempre schierato dalla parte della “sua” gente, ha lanciato appelli e firmato denunce, è intervenuto più volte in Parlamento e ha trovato voce sui giornali e in tv. Più di sette anni di battaglie sempre a contatto con genitori che scoprono che i loro figli hanno la leucemia. Cosa ha ottenuto? «Piccole promesse, qualche intervento palliativo, un servizio di pochi minuti in televisione e via. Poi arrivano gli esperti, gli opinionisti

dicembre 2019 | a tu per tu con l’avis 13 natura che ridimensionano le cose». Perché una soluzione facile facile è sempre a portata di mano ed è sempre una questione di paletti: «A volte basta alzare l’asticella che separa il lecito dall’illecito per far diventare lecito ciò che prima era un illecito». Del resto l’Italia non può essere definito un Paese ambientalmente virtuoso. La fotografia scattata dal rapporto Ecomafie 2019 di Legambiente dice che lo scorso anno sono state trafficate illegalmente 1,2 milioni di tonnellate di rifiuti speciali, anche pericolosi, sono state costruite oltre 17.000 case abusive, spesso veri e propri ecomostri, anche con cemento scadente e in zone a rischio, sono stati depredati il patrimonio artistico, la flora e la fauna protette, con fatturati in crescita e un giro di affari stimato in 16,6 miliardi di euro. Negli oltre mille km quadrati che costituiscono la Terra dei Fuochi, dove risiedono circa 2,5 milioni di persone, questa situazione si protrae da anni. Qui sono state sepolte tonnellate e tonnellate di scarti industriali «in modo non solo illegale ma disumano», prosegue padre Maurizio. «Scarti dati alle fiamme sugli ormai famigerati e velenosi roghi tossici, scarti camuffati nelle discariche per rifiuti urbani, scarti interrati o, se liquidi, gettati nei mari, nei fiumi, nei laghi, nelle fogne. L’uomo non sempre riesce a essere un galantuomo, a volte, per davvero, si riduce a essere un pover’uomo. Un uomo al quale la bramosia per il denaro acceca gli occhi, l’intelligenza, il cuore, tanto da non capire che avvelenando la terra, l’aria, l’acqua condanna a morte se stesso e i figli che dice di amare». Prosegue: «Papa Francesco, nell’ enciclica “Laudato Si” ce lo ha ricordato a chiare lettere. In questi ultimi mesi anche le grandi città, opulenti e contraddittorie, hanno problemi con i rifiuti. È un male? Non è detto. Potrebbe essere un bene, se, finalmente, non solo i sindaci, il ministro dell’ambiente o gli assessori addetti, ma tutti, politici, mondo dell’informazione e dell’industria, Chiesa e gente comune ci convinciamo che o risolviamo il dramma dei rifiuti o i rifiuti continueranno a rubarci la serenità e la salute». E citando don Primo Mazzolari, «il mio maestro», conclude: «Bisogna aiutare l’uomo a essere più uomo. E io cerco di agire da uomo prima ancora che da cristiano. Perché l’impegno per l’ambiente - che significa impegno per la salute, per l’agricoltura, per lo sviluppo - deve essere di tutti». Per quanto la Terra dei Fuochi sia piuttosto lontana dalla nostra Lombardia, che comunque è la prima regione del Nord nei circuiti illegali su tutti i fronti ambientali, una domanda è doveroso farsela: e io cosa faccio? www.padremaurizio.it

dicembre 2019 | a tu per tu con l’avis 14 Ridere, antiracket culturale Il segreto è nell’ironia. Affrontare temi seri, che possono anche fare paura, ma con il sorriso sulle labbra. Ci avevano già pensato 500 anni fa giullari e saltimbanchi che, passando di città in città, si permettevano di sbeffeggiare i potenti di turno che delle regole “se ne facevano unbaffo” semplicemente ridicolizzandoli. Il prepotente e l’arrogante non apparivano più come le figure granitiche e temibili con cui volevano essere rappresentati, ma oggetto di derisione. Sbeffeggiati pubblicamente. Un fatto che, già nel XVI secolo, poteva costare la vita agli stessi giullari. Il mettere in ridicolo, evidenziare le storture più assurde di un sistema criminale, ma anche calcare la mano sui vizi privati dei singoli boss per strappare un sorriso al pubblico è la strada scelta da un certo tipo di teatro, dove la risata vuol spingere non solamente ad una riflessione, ma ad una presa di coscienza. Da qui è partito Giulio Cavalli per il suo ultimo spettacolo “Mafie, maschere, cornuti”. E da qui è partito anche Salvo Giorgio per il suo “Mafia Pride” di cui è l’autore. Un unico oggetto, un approccio molto simile: «La parola contro le mafie funziona», dice Giulio Cavalli in apertura del suo monologo che sta portando in scena da due anni nei teatri di tutta Italia. «Tutti abbiamo in tasca l’arma per scendere in battaglia. Ma questa non è storia recente. Ha almeno 500 anni: con i comici e i giullari. Avevano un carro ed arrivavano nelle piazze. E da quel palcoscenico riuscivano a far sorridere la gente della pateticità del potere. Ovvero, di quanto è patetico il potere quando ha bisogno di fare il prepotente perché non riesce a governare secondo le regole». Un’irriverenza che spesso poteva costare anche la vita ai poveri saltimbanchi. Ma, del resto, nonostante il mezzo millennio di distanza, lamafia non si è comportata molto diversamente. Cavalli, che è attore, regista, giornalista e scrittore, nonché autore di “Linate 8 ottobre 2001” (che ha debuttato al Piccolo Teatro di Milano), “Kabum!” (giullarata sulla resistenza con la regia di Paolo Rossi) e “Benvenuta Catastrofe” (con la regia di Dario Fo), ha dedicato negli ultimi anni grande spazio alla mafia. I suoi lavori lo hanno portato a vincere il premio Fava Giovani nel 2009, il premio Borsellino nel 2012 e il XXIII Premio internazionale Rosario Livatino - Antonino Saetta - Gaetano Costa nel 2017. In “Mafie, maschere, cornuti” (produzione Bottega dei Mestieri Teatrali), che teatro

dicembre 2019 | a tu per tu con l’avis 15 teatro è la naturale prosecuzione di “Nomi, Cognomi e Infami” (spettacolo da 500 repliche), fa proprio il tema della risata per combattere i prepotenti e, indossando i panni del giullare, mette in piazza le impudicizie non solamente di un sistema, ma anche dei vari boss che si sono succeduti. L’obiettivo è smontare una mentalità: quell’onorabilità che di onorevole non ha proprio nulla, raccontandone i vizi privati. «Le mafie, da sempre, sono un’incrostazione di potere che sopravvive grazie (anche) alla proiezione che riescono a dare di se stesse; ma quanto c’è di vero nella narrazione mafiosa (e di chi nel raccontarla finisce per celebrarla con un concorso culturale esterno) che quotidianamente ci viene proposta?», si legge nella nota di presentazione dello spettacolo. «Siamo sicuri che Riina (l’uomo che sognava di mangiare carne, comandare carne e cavalcare carne) potesse tenere da solo sotto scacco un intero Paese? E cosa ci dice lo scalcagnato covo di Provenzano?». Per questo racconta di mafiosi surgelati che ad Alcamo si incontrano nella cella frigorifera di un negozio di ortofrutta sperando di non essere ascoltati; di bambini di ’ndrangheta che scrivono lettere in cui sognano di “diventare boss come papà”; del camorrista che si traveste da donna per coprire la propria latitanza; dei fratelli Marchese (Cosa Nostra) che pensano di uccidere i genitori dell’amata di uno dei due per aggirare la norma che impedisce a un uomo d’onore di sposare una donna con genitori separati (ma non orfana); del padrino che autorizza una storia di corna per “liberare” uno dei suoi picciotti». La base è, purtroppo, sempre la realtà. Vuole sempre far ridere, ma è una risata amara, cruda, quella che solleva “Mafia Pride”. L’oggetto non cambia, gli spunti nemmeno: la narrazione parte infatti da una realtà che spesso e volentieri supera la fantasia arrivando a livello dell’assurdo. Prodotto da Spazio Naselli per la regia di Giampaolo Romania, “Mafia Pride” osserva con estremo disincanto rituali, codici, dialoghi e dichiarazioni nel tentativo di smontare quel “pride”, quell’orgoglio di chi si dice mafioso. Sul palco ci sono sei donne - Anita Indigeno, Carla Cintolo, Leandra Gurrieri, Lella Lombardo, Milena Torrisi, Giuseppina Vivera – che vengono rappresentate volutamente come delle “femminazze”: sono volgari, sboccate, impertinenti, ma sono donne d’onore capaci di passare da una chiesa a una discoteca, che parlano la lingua della mafia con detti, non detti, codici e riti che nascondono una simbologia ben precisa. Ridere di mafia si può, anzi si deve. Perché, come dice Cavalli «ridere di mafia è antiracket culturale». www.giuliocavalli.net

Siete disposti a dimenticare quel che avete fatto per gli altri e a ricordare quel che gli altri hanno fatto per voi? A ignorare quel che il mondo vi deve e a pensare a ciò che voi dovete al mondo? A mettere i vostri diritti in fondo al quadro, i vostri doveri nel mezzo e la possibilità di fare un po’ di più del vostro dovere in primo piano? Ad accorgervi che i vostri simili esistono come voi, e a cercare di guardare dietro i volti per vedere il cuore? A capire che probabilmente la sola ragione della vostra esistenza non è ciò che voi avrete dalla Vita, ma ciò che darete alla Vita? A non lamentarvi per come va l’universo e a cercare intorno a voi un luogo in cui potrete seminare qualche granello di felicità? Siete disposti a fare queste cose sia pure per un giorno solo? Allora per voi Natale durerà per tutto l’anno. Henry van Dike A Natale • Festeggia con noi gli 85 anni di AVIS LEGNANO www.avis-legnano.org Avis Legnano Servizio civile Avis Legnano

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