Non è sempre facile fare i conti con la nostra situazione personale e l’ovvia considerazione che “c’è tanta sofferenza nel mondo”. Di certo l’ultimo anno e mezzo ha reso ancora più evidente questa difficoltà, visto che quel “mondo di sofferenza” a cui fa riferimento l’ormai logora espressione si è fatto all’improvviso più vicino e diffuso.
Quella sofferenza, però, non è diffusa in maniera uniforme, e ciò può provocare un senso di colpa in chi, tutto sommato, non se la passa così male. Qualcuno potrebbe addirittura concludere che mostrarsi allegri e soddisfatti sia una dimostrazione di irresponsabilità e insensibilità verso i problemi del mondo. La reazione potrebbe quindi essere mostrarsi tristi o indignati, così da mostrare empatia verso i tanti problemi attorno a loro.
Come spiega Arthur Brooks sull’Atlantic, la ricerca mostra che comportarsi da persone infelici è il modo migliore per diventarlo, al contempo non facendo nulla di concreto per ridurre la sofferenza altrui. Ciò che invece aiuta è sforzarsi di raggiungere e proiettare sugli altri la propria felicità, pur mostrandosi preoccupati e coinvolti dalle tante cose che non vanno nel mondo.
Cherofobia
Chi mostra più tristezza di quanta ne prova realmente, potrebbe soffrire di una forma di paura della felicità conosciuta come cherofobia. «Secondo la ricerca – spiega Brooks –, la cherofobia potrebbe derivare dalla convinzione che essere felici porti sfortuna; che esprimere o perseguire la felicità faccia male; o che essere felici renda cattive persone. Ci sono prove che la cherofobia si trova spesso nelle comunità religiose».
Ci sono due grossi problemi in questa impostazione mentale. Il primo è che, come abbiamo visto, agire da persone infelici porta a esserlo davvero. Il secondo è che mostrarsi infelici, arrabbiati o depressi non renderà il mondo un posto migliore, anzi, c’è il rischio di contagiare gli altri con le proprie espressioni ed emozioni negative.
Ecco quindi alcuni consigli pratici, nel caso ci si trovi in una condizione simile (o si voglia evitare di entrarci).
1. Analizzare la propria infelicità
Se si è continuamente irritati o ci si lamenta costantemente del mondo, forse ci sono aspetti della propria vita che provocano tali emozioni. «Se è così – spiega Brooks –, lavora per capire i tuoi sentimenti facendo i conti con essi. Se necessario, affrontali con un terapeuta, o almeno impara di più in proposito, può dare enormi benefici.
Ma dovresti anche chiederti se stai sminuendo gli aspetti positivi della tua vita. È possibile che tu sia un po’ cherofobico? Se è così, ricorda che rischi di diventare una persona più infelice, senza che questa tristezza vada a beneficio degli altri».
2. Adottare la mentalità del missionario
«Se hai opinioni forti su un argomento, probabilmente vuoi cambiare il modo in cui le altre persone pensano e agiscono in proposito. Chiediti cosa è più persuasivo nei confronti degli altri: mostrare rabbia e tristezza o gioia ed empatia? I missionari conoscono molto bene questo principio, ed è per questo che – a prescindere da quanto tu sia felice o infelice di vederli – sono sempre sorridenti quando si presentano al tuo pianerottolo». Adottare l’approccio del missionario, mostrandosi comunque positivi anche se si prova molta rabbia per una certa questione – magari a ragione – aiuterà gli altri a empatizzare con quella causa, molto più che mostrare emozioni negative.
3. Fare della propria causa una fonte di entusiasmo
«Se credi che ci sia l’opportunità di migliorare le cose attraverso il cambiamento sociale, è più probabile che lo realizzi se sei entusiasta, come se fosse un’impresa o un grande obiettivo di vita. Il punto non è fingere di accettare lo status quo, ma piuttosto che l’ottimismo nei confronti del cambiamento è il modo migliore per far sì che la gente voglia essere parte di quel processo. Invece di pensare alle tue preoccupazioni come a problemi irrisolvibili o fonti di stress, rendili un progetto eccitante. Se è troppo scoraggiante, spezza il tuoi obiettivi finali in passi più piccoli e raggiungibili».
(Foto di Hello I’m Nik su Unsplash)
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