«La responsabilità, mi preme sottolineare, ha bisogno di passioni, o meglio di passioni empatiche, che testimonino della capacità di preoccuparsi per l’altro. Se non è alimentata da passioni, essa rischia infatti di restare un principio astratto, e puramente fondato sul dovere», ha scritto la filosofa Elena Pulcini. Riflessioni recenti sul concetto di colpa ci hanno portati a interrogarci sulle sue ulteriori propagazioni. In maniera un po’ grossolana, possiamo dire che la colpa attiene all’ambito morale, mentre la responsabilità a quello etico. È una distinzione che ha delle ricadute molto pratiche, la cui importanza risiede nell’etimologia: «Responsabilità […] viene infatti dal latino respondere – spiega Pulcini –, cioè rispondere di qualcosa, rendere conto delle proprie azioni e farsi carico delle loro conseguenze. È un termine recente, che compare per la prima volta alla fine del ‘700 (ne Il Federalista) e che sarà poi oggetto di molteplici declinazioni: responsabilità giuridica (civile, penale), pubblica, politica, morale…». La responsabilità ha un rapporto molto stretto con la libertà: se da un lato la seconda ne è un presupposto, ci sono anche posizioni più radicali in questo senso. Secondo il filosofo Emmanuel Lévinas, spiega ancora Pulcini, «è impossibile sottrarsi alla responsabilità in quanto questa viene prima della libertà (Altrimenti che essere). È vero anche però che noi tendiamo a dimenticare questa verità e facciamo un uso illimitato della nostra libertà. Perciò abbiamo bisogno di essere educati alla responsabilità». Potremmo dire che oggi, almeno in una certa parte del mondo, tendiamo a dare per scontata la libertà, a esigerla come diritto, senza troppo pensare a ciò che comporta in termini di “doveri”: essere liberi implica rispondere delle proprie azioni, ossia esserne responsabili.

La responsabilità si muove in due direzioni, verso il soggetto che agisce e verso gli altri soggetti, sulle cui vite ricadono le sue azioni. Se la prima è generalmente una sfera verso cui siamo tutti molto sensibili, la seconda è decisamente più problematica. In generale siamo consapevoli del fatto che le nostre azioni avranno una conseguenza verso noi stessi, anche se talvolta non ci comportiamo di conseguenza. Facciamo molta fatica a essere “solidali” con i “noi stessi” del futuro (per esempio quando procrastiniamo continuamente una certa scadenza, pur sapendo che più aspettiamo e più le conseguenze saranno progressivamente deleterie). Ancora più difficile è includere in questo quadro anche gli altri. E veniamo qui all’aspetto che più ci interessa sottolineare (e se ci seguite da un po’ avrete già capito dove andiamo a parare): la politica. Diamo ancora una volta la parola a Pulcini: «La politica è la sfera per eccellenza della decisione: dare il nostro voto a qualcuno significa fidarsi di lui e ritenerlo degno di rappresentarci, di rispettare le promesse fatte e di operare responsabilmente per il bene comune. Perciò ci sentiamo traditi se le nostre aspettative sono disattese, se scopriamo reti di corruzione, spreco di denaro pubblico, o collusioni mafiose; e ci indigniamo se nessuno si assume pubblicamente la responsabilità di quanto avviene, se nessuno si vergogna di quanto ha fatto. La vergogna, quella passione che insorge di fronte al timore del giudizio dell’altro, è oggi quasi del tutto scomparsa; si tende a scaricare l’onere su altri o a denegare qualsiasi coinvolgimento, o addirittura a rivendicare i comportamenti più turpi spacciandoli per legittimi. Eppure la vergogna, l’ammissione di una colpa sarebbero il segnale del senso di responsabilità e il primo passo verso la possibilità di riparazione del male». Quest’ultimo passaggio è molto interessante, perché stabilisce un legame tra (senso di) colpa e responsabilità, indicando il primo come premessa affinché possa realizzarsi la seconda, e quindi andare verso una possibile riparazione.

Pulcini introduce poi l’aspetto dell’empatia come passione necessaria affinché sia possibile «preoccuparsi per e prendersi cura di altri». Ma come coltivare il senso di responsabilità, che sembra attraversare un momento particolarmente difficile sia in ambito privato sia in quello pubblico? Pulcini indica la via:

  1. «Recuperare la percezione del limite come ciò che fa parte costitutiva dell’umano, ma che è stato rimosso dalla vocazione prometeica del soggetto moderno».
  2. Interiorizzare l’idea che siamo «costitutivamente esseri sociali, o meglio soggetti in relazione, le cui azioni finiscono sempre per coinvolgere altri».
  3. «Recuperare una prospettiva utopica, che […] ci consenta di non rinunciare alla speranza che può esistere un mondo migliore. Una speranza che tuttavia oggi deve essere sorretta dalla capacità di immaginare il mondo che vogliamo».

Riflessioni e proposte di grande attualità, seppure risalenti al 2016, che ci piacerebbe trovassero spazio anche nel dibattito odierno, che sembra aver annegato ogni possibilità di empatia nel cinismo e nell’opportunismo politico, mascherati da realismo pragmatico.

(Foto di Tingey Injury Law Firm su Unsplash)

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