I motivi che spingono le famiglie ad avere figli più tardi di un tempo sono complesse, ma l’accesso alla procreazione medicalmente assistita è spesso difficoltoso e le politiche a favore della natalità insufficienti. Ne scrive Caterina Bonetti su Gli Stati Generali.
Quando parliamo di inverno demografico tendiamo, implicitamente, a partire da un sottinteso: le persone possono decidere liberamente di avere figli e non li fanno.
Al massimo discutiamo di conciliazione vita lavoro (quale lavoro, di che qualità e con quale stipendio non importa) e di ritardo nei percorsi formativi e di inserimento professionale che portano, fisiologicamente, a fare figli più avanti negli anni. Libera scelta dunque, ma siamo liberi davvero di diventare o meno genitori in Italia?
Pur prescindendo dal fatto che forse una riflessione più ampia sul sistema socio-culturale in cui viviamo immersi, assolutamente schizofrenico in questo senso, dove la famiglia viene sbandierata come un valore, ma il vero valore resta la capacità economica di sostenere standard performativi di vita non più sostenibili (chi si può permettere con un reddito medio, magari con uno o due figli a carico, di vivere la vita che vivevano i nostri genitori, a parità di condizioni, venti o trent’anni fa?) a fronte di un aumento dei costi della vita, stipendi fermi da anni e stili di vita aspirazionali che confliggono fortemente con le disponibilità economiche del cittadino medio, il tema di chi può o non può fare figli esiste.
Fare figli più tardi significa spesso avere più difficoltà a farli in modo naturale. Negare la possibilità alla genitorialità a chi non ha la disponibilità economica per affrontare percorsi di procreazione medicalmente assistita è classista e profondamente iniquo, in una società sempre più polarizzata fra ricchi e poveri (interessante su questo tema lo studio Oxfam uscito in questi giorni sul crescente divario economico fra “paperoni” e poveri in Italia). Per fortuna qualcuno sta iniziando a parlare anche sui media nazionali dei costi dei servizi di supporto alla natalità, ad esempio del fatto che in un centro privato il costo base per un percorso di fecondazione in vitro si aggiri intorno ai 5.600 euro (spesso da ripetere più volte per un buon esito), che solo in alcune regioni il supporto alla procreazione medicalmente assistita è garantito dalla sanità pubblica, che i tempi si allungano insieme alle liste d’attesa, che non tutte le procedure sono garantite dalle strutture.
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(Foto di Volodymyr Hryshchenko su Unsplash)
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