La maggior parte delle persone ha una “voce interiore”, e tendiamo a pensare che tutti ce l’abbiano. Studi recenti suggeriscono però che la misura in cui questo discorso interiore si sviluppa varia molto tra una persona e l’altra, e si può passare da un ritmo quasi costante a una sostanziale assenza di “auto dialogo”.

Un nuovo studio dell’Università di Copenhagen, di cui scrive lo Scientific American dimostra che queste differenze, oltre a essere comprovate, hanno anche conseguenze sulla nostra cognizione. I partecipanti con una voce interiore debole hanno infatti ottenuto risultati peggiori in compiti psicologici che misurano, per esempio, la memoria verbale. Lo studio si aggiunge al crescente corpus di ricerche che dimostrano che i nostri mondi mentali possono essere profondamente diversi.

Secondo gli psicologi il linguaggio interiore può essere utile per supportare varie funzioni mentali: esso è fondamentale per l’autoregolazione e il funzionamento esecutivo, come il passaggio da un compito all’altro, la memoria e il processo decisionale.

Gli studi sul tema finora avevano utilizzato misure soggettive, come i questionari, che non permettono di sapere con certezza se ciò che le persone dicono su ciò che avviene nella loro testa è ciò che accade realmente.

Per il nuovo studio, i ricercatori hanno sottoposto a 1.037 persone un test e poi hanno selezionato 47 partecipanti che avevano ottenuto punteggi alti rispetto alla presenza di una voce interiore e 46 che avevano registrato punteggi bassi. Hanno quindi sottoposto a questi partecipanti quattro compiti legati al linguaggio che ritenevano potessero essere influenzati dall’uso della voce interiore. Nel primo, ai partecipanti sono state mostrate brevemente cinque parole e gli è stato chiesto di ripeterle. Il secondo prevedeva che i partecipanti dicessero se i nomi degli oggetti in due immagini facevano rima. In entrambi gli esperimenti, il gruppo con meno linguaggio interiore è stato meno accurato nelle risposte. Per quanto riguarda i giudizi sulla rima, le persone con un linguaggio interiore più presente sono state anche più veloci.

La ricerca potrebbe avere implicazioni mediche, spiega l’articolo. Le persone con un linguaggio più interiore potrebbero dipendere maggiormente dal linguaggio nel loro pensiero. Quindi la compromissione del linguaggio causata da un ictus potrebbe avere un effetto più grave e potrebbero richiedere terapie diverse. Capire come si sviluppa il linguaggio interiore ha implicazioni per l’istruzione. Le variazioni nella capacità dei bambini di rappresentare i suoni del linguaggio possono avere un impatto sulla capacità di apprendere la relazione tra suoni e scrittura, che a sua volta può avere un impatto sul modo in cui imparano a leggere e scrivere.

I ricercatori propongono di dare un nome alla mancanza di linguaggio interno: “anendofasia” (dal greco: an significa “mancanza”, endo significa “interno” e phasia significa “discorso”). Sperano che questo promuova ulteriori ricerche, come è stato quando è stato coniato il termine “afantasia” per le persone che mancano di immagini mentali visive.

Una strada importante per il futuro sarà ottenere misure più oggettive delle differenze del discorso interiore, utilizzando ad esempio l’imaging cerebrale. I ricercatori hanno infatti spiegato che si può cercare di decodificare dai segnali cerebrali se un partecipante sta sentendo una voce, che tipo di voce e così via.

Per ora, queste differenze, insieme all’afantasia e alla sinestesia, illustrano quanto possa essere diversa la vita interiore delle persone.

(Foto di Pedro Miguel Aires su Unsplash)

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