«Ogni euro investito nell’accoglienza di rifugiati può generarne quasi il doppio in termini di benefici economici per il Paese, nel giro di cinque anni». Questa frase apre il primo articolato studio realizzato sull’impatto economico a lungo termine dell’arrivo di rifugiati in Europa. Il documento (che si può scaricare qui) si intitola “Refugees work: a humanitarian investment that yields economic dividends” (in italiano “Il lavoro dei rifugiati: un investimento umanitario che produce dividendi economici”) ed è firmato Philippe Legrain, che dal 2011 al 2014 è stato consulente economico del presidente della Commissione europea. Nel lavoro, realizzato assieme all’organizzazione non governativa Tent e al think tank Open, Legrain si propone di calcolare l’impatto economico di rifugiati economici e di guerra nei Paesi dell’Unione europea, per capire se i timori legati all’arrivo di molti richiedenti asilo costituisca realmente la minaccia che alcuni capi di Stato e molti leader di partito europei stanno descrivendo ai propri cittadini (giustificando così politiche di chiusura delle frontiere, per ora solo ipotetiche, ma sempre oggetto di contrattazione tra Pesi Ue ed extra-Ue). Secondo i calcoli dell’economista, come si diceva in apertura, ciò che oggi stiamo spendendo per l’accoglienza di rifugiati sarà non solo ripagato, ma addirittura raddoppiato nel corso dei prossimi cinque anni, portando quindi un beneficio agli Stati che agiscono con politiche di inserimento lavorativo e sociale.
Legrain non nega che in una prima fase l’arrivo di molti richiedenti asilo sia un peso per l’economia dell’Unione, ma è anche convinto che questo sia un “investimento umanitario” destinato ad avere una ricaduta positiva sulle casse degli Stati. Entrando nel dettaglio, come spiega il Guardian, la spesa pubblica per i rifugiati potrebbe costare complessivamente 69 milioni di euro, ma in cambio, entro cinque anni, rientreranno 126,6 milioni di euro. Si tratta di un rovesciamento netto della retorica per cui l’accoglienza sia soprattutto un costo. Anche i più sensibili agli aspetti umanitari, che sostengono sia doverosa a prescindere dal suo impatto economico, di solito non arrivano a negare questo assioma. Il modello di Legrain ribalta il punto di vista (e per molti non è una sorpresa) e fa diventare l’accoglienza non solo opportuna, ma “conveniente”.
Un punto su cui la politica deve prendere misure adeguate è la rapidità con cui chi arriva in Europa abbia la possibilità di entrare nel processo lavorativo. L’impatto positivo sulla domanda interna dato dalla presenza di nuovi abitanti è enfatizzato se questi hanno la possibilità di uscire velocemente dal regime assistenziale e cominciare un processo di inserimento professionale che li renda autonomi. In questo modo, oltre a smettere più rapidamente di essere un peso per le istituzioni, la loro capacità di acquisto (e la propensione a spendere data dal fatto di doversi ricostruire una vita nel nuovo Paese) darebbe un contributo determinante alla ripresa della domanda, che negli ultimi anni in Europa si è praticamente fermata.
Con i loro stipendi potranno contribuire a rimpolpare il fondo pensioni, che da tempo va assottigliandosi, e allo stesso tempo andranno a coprire alcune posizioni lavorative in cui manca manodopera. Secondo Legrain non sono fondati nemmeno i timori sul fatto che l’aumento di persone in cerca di lavoro contribuisca a generare disoccupazione. «Per farla semplice – spiega Legrain (traduzione di Laura Eduati per lo Huffington Post) –: non c’è un numero fisso di posti di lavoro. I rifugiati che prendono dei posti di lavoro allo stesso tempo ne creano altri. Quando spendono quello che guadagnano, fanno crescere la domanda per le persone che producono i beni e i servizi che loro consumano. Allo stesso tempo creano lavoro in linee di produzione complementari: per esempio i rifugiati che diventano muratori creano lavoro per i le persone del luogo, che possono diventare supervisori oppure commercianti di prodotti per l’edilizia». Misure importanti per accelerare il processo di inserimento sarebbero dunque permettere a chi è in attesa di risposta per la sua richiesta di asilo di cominciare comunque a lavorare, e al contempo offrire corsi di lingua ai nuovi arrivati. In due parole, per evitare che l’arrivo di rifugiati diventi un problema, è necessario non marginalizzarli.
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