Dopo “non contiene glutine” e “prodotto senza olio di palma”, il prossimo avvertimento stampato sui prodotti al supermercato potrebbe essere “prodotto senza olio di cocco”. Uno dei più quotati “superfood” degli ultimi tempi è stato citato da una epidemiologa di Harvard, Karin Michels, che durante una conferenza (già vista oltre un milione di volte su YouTube, ma occhio: è in tedesco) l’ha definito «puro veleno» e «una delle cose peggiori che possiate mangiare». Michels basa la sua accusa sul fatto che l’olio di cocco contiene un’altissima percentuale di grassi saturi.
Un suo consumo eccessivo può contribuire a un aumento del colesterolo LDL, e quindi del rischio di contrarre malattie cardiovascolari. Secondo una tabella riportata sul blog Scienza in cucina, pubblicato su Le Scienzee curato da Dario Bressanini, l’olio di cocco è l’ingrediente con più grassi saturi tra quelli comunemente utilizzati: ne contiene il 92 per cento (altre fonti parlano di una cifra compresa tra 80 e 90 per cento, dipende dal prodotto). Il burro, comunemente associato a un’altissima percentuale di grassi saturi (anche perché siamo abituati a vederlo nella sua forma solida) si ferma al 66 per cento. Il contestatissimo olio di palma addirittura al 52 per cento, meno del burro di cacao (62 per cento).
L’olio di cocco, a parità di quantità, è più rischioso per la salute rispetto all’olio di palma. Nonostante questo, negli ultimi anni è finito nella lista dei “prodotti miracolosi che madre Natura regala all’uomo”, non solo come alimento ma anche per la cosmesi. Ci sono alcune mistificazioni a questo proposito, che è bene chiarire. L’American Heart Association è molto netta: «Dato che l’olio di cocco aumenta il colesterolo LDL, causa di problemi cardiovascolari, e non ha effetti benefici compensativi, ne sconsigliamo l’uso». Una convinzione sbagliata che circola da tempo, spinta da certi “guru” dell’alimentazione, è che la provenienza “più sana” di un certo tipo di molecola possa modificarne gli effetti sulla salute. Come spiega al Guardian Victoria Taylor, dietista alla British Heart Foundation, non c’è alcuna evidenza scientifica di questo. Non serve a nulla quindi sostituire i grassi saturi del burro o dell’olio di palma con quelli saturi dell’olio di cocco. Piuttosto, meglio rimpiazzarli con quelli insaturi dell’olio di oliva o di girasole.
Per completezza, bisogna dire che anche le presunte proprietà cosmetiche dell’olio di cocco sono state fortemente esagerate dall’industria e da certa informazione. Un articolo del giornalista scientifico David Derbyshire per il Guardian smontava un anno fa le convinzioni già allora largamente diffuse.
Per farci un’idea degli aspetti quantitativi del fenomeno, abbiamo consultato la banca dati Index Mundi, cercando i dati relativi al consumo di burro, olio di cocco e olio di palma nell’Unione europea dal 1999 a oggi. Abbiamo poi incrociato i dati e creato un unico grafico:

Come si può vedere, nel 1999 i consumi di burro e olio di palma erano molto simile, mentre nel corso degli anni il secondo è più che triplicato. L’olio di cocco si attesta su ordini di grandezza non paragonabili, e anzi dal 2012 è in costante discesa: dalle 700mila tonnellate di quell’anno si è arrivati alle 465mila del 2017.
(Foto di Eddie Kopp su Unsplash)