Ci sono tre storie interessanti sul tema dell’omosessualità, che vale la pena citare per fare il punto della situazione, nel nostro Paese e fuori. All’interno delle istituzioni vi sono posizioni diverse in merito, quali più conservatrici, quali più progressiste. Tra le seconde figura la sentenza della Corte di cassazione dell’11 gennaio, in cui si rigetta il pregiudizio per cui un bambino debba essere affidato necessariamente a una coppia eterosessuale. Il caso che ha portato alla pronuncia è stato sollevato da un padre che si è visto togliere la tutela del figlio a causa di atti di violenza verso la ex compagna, che poi è andata a convivere con una donna, con cui ha iniziato una relazione: «Alla base della doglianza del ricorrente -si legge nella sentenza– non sono poste certezze scientifiche o dati di esperienza», ma solo «il mero pregiudizio che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale». In questo modo, osservano i giudici, «si dà per scontato ciò che invece è da dimostrare, ossia la dannosità di quel contesto familiare per il bambino». La Cassazione ha di certo colto un aspetto ormai acquisito da parte di gran parte della società, che evolve molto più velocemente rispetto al ritratto che ne dà la nostra classe politica, dalle quali si sono levate voci che giudicano questo intervento «pericoloso».
La seconda storia fa parte della cronaca, e riguarda un quindicenne, omosessuale, eletto rappresentante d’istituto nella sua scuola a Roma. Per tutta risposta, qualcuno ha imbrattato un muro dell’istituto con una scritta omofoba chiaramente riferita a lui, accompagnata da una croce celtica. Sarebbe facile entrare nel solito corto circuito di paura e apprensione per il giovane, che già saremmo portati a immaginare chiuso in casa nel timore di un’aggressione. E invece è lui stesso a smentire tutto ai giornalisti: «Non fatemi passare per una vittima -ha dichiarato-, perché io sono un ragazzo forte. Sono uno tosto che non si fa mettere i piedi in testa da nessuno. Evidentemente chi ha fatto questa scritta non ha avuto il coraggio di insultarmi di persona e ha preferito sfogarsi vigliaccamente sui muri della scuola, pensando che nessuno potesse vederlo». E i suoi commenti verso gli autori della scritta non si sono fermati qui: «Sono solo degli stupidi che pensano che in un liceo non possa esserci un rappresentante gay. Io poi non ho mai avuto problemi a parlare della mia omosessualità e se devo essere onesto questo gesto non mi ha fatto né soffrire né intimorire. All’inizio avevo deciso di fregarmene, poi però ho capito che era importante parlarne, per fare capire ad altri ragazzi, magari vittime di bullismo, che non bisogna avere paura. Perché ci sono miei coetanei che per gli insulti di qualche deficiente ci hanno rimesso la vita». Un esempio, il suo, di grande coscienza civica.
E veniamo alla terza storia, ossia quella dei matrimoni gay nel Regno Unito. Dando seguito alle dichiarazioni rilasciate nei mesi scorsi, il primo ministro inglese David Cameron sta portando avanti un disegno di legge per renderli legali ed equiparare nozze religiose e civili in Inghilterra e Galles. Per arrivare in fondo sta sfidando una parte del partito conservatore, cioè il suo. Ma grazie al sostegno di liberaldemocratici e laburisti, di parte dei conservatori (tra cui tre ministri), la legge è già stata approvata dalla camera dei Comuni (si attende il parere della commissione e della camera dei Lord). Sono tre storie che compongono un quadro, e che individuano chi si sta muovendo per interpretare l’evoluzione di concetti e valori, cercando di intervenire nella porzione di realtà su cui hanno potere di intervento. Certo, in questo modo chi ha una visione contraria alla concessione di diritti civili e matrimoniali agli omosessuali si sentirà messo all’indice. E infatti è giusto valutare e rispettare tutte le posizioni, purché poi le argomentazioni vadano oltre il solito refrain, per cui «una famiglia è composta da un uomo e una donna, punto e basta».