Da un po’ di tempo, all’indomani dei naufragi in cui perdono la vita gruppi più o meno numerosi di migranti nel Mediterraneo, le teorie su chi sia il responsabile di quelle morti prendono il sopravvento sul cordoglio per il dramma in sé. In particolare, una delle teorie che tornano ciclicamente a farsi sentire è quella che vede le Ong come pull factor per le partenze, cioè come un elemento che spinge le persone a mettersi in mare. Siccome nelle acque del Mediterraneo ci sono navi delle Ong che pattugliano in cerca di imbarcazioni bisognose di soccorso, i migranti sarebbero indotti a sentirsi più sicuri di essere salvati e quindi a prendere il largo. Questa teoria è stata smentita più volte da analisi sui numeri delle partenze e dei salvataggi (e anche dei morti in mare, visto che alle Ong si imputa addirittura un aumento dei morti, accusa grave quanto infondata).
La recente politica dei “porti chiusi”, messa in atto da Paesi come Italia e Malta, ha reso ancora più drammatica la situazione, costringendo spesso le navi che soccorrono dei migranti alla deriva a restare per giorni in attesa di sapere il porto di destinazione in cui attraccare. Talvolta questo ha richiesto viaggi molto lunghi, come nel caso della Aquarius, che la scorsa estate salvò 629 persone al largo della Libia e poi dovette arrivare fino al porto di Valencia (con l’aiuto di due navi italiane) prima di poterle sbarcare. Le navi usate dalle Ong per compiere le operazioni di soccorso sono spesso vecchi pescherecci, acquistati e adibiti al nuovo uso, dunque non attrezzati per lunghe permanenze di decine (o centinaia, come in quel caso) di persone.
Il fatto che si possano “chiudere i porti” è oggetto di dibattito, visto che le norme internazionali e quelle dei singoli Paesi spesso danno luogo ad aree grigie in cui non si sa bene cosa sia concesso e cosa no. «La legge italiana – spiega il Post –, in sostanza, vieta di respingere persone che chiedono di ottenere una forma di protezione internazionale, cioè o l’asilo politico o la protezione per motivi umanitari. Dato che tutti i migranti che arrivano in Italia hanno diritto di fare richiesta di protezione, sarebbe difficile trovare una base legale per respingerli ancora prima che ne abbiano avuto la possibilità. L’Italia in passato è stata condannata più volte dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo per avere compiuto respingimenti illegali di massa sui passeggeri di alcuni barconi di migranti: la legittimazione di questa misura significherebbe probabilmente l’apertura di nuovi procedimenti da parte della Corte».
La politica dei porti chiusi non mette in luce solo la particolare durezza nei confronti dei migranti da parte di alcuni governi, ma anche il fallimento della cooperazione europea su questo tema. È infatti ovvio che il destino delle persone che sbarcano nei Paesi costieri (soprattutto Spagna e Italia) non può essere quello di stabilirsi in massa in quegli stessi Stati. Il regolamento di Dublino, però, che regola i flussi migratori all’interno dell’Unione europea, impone che i migranti facciano richiesta d’asilo nel Paese in cui vengono registrati, cioè quello in cui sbarcano. Per impedire che ciò accada, altri Paesi devono dirsi disposti ad accoglierli prima che avvenga la registrazione. Ma questo è particolarmente difficile, e spesso passano giorni e settimane prima che qualcuno si faccia avanti. Una delle contraddizioni dei governi più restii ad accogliere migranti è che i loro rappresentanti si sono dimostrati finora ben poco collaborativi nel cercare di modificare il regolamento di Dublino, contribuendo di fatto alla situazione di stallo che si è creata.
Ciò che però ha spiegato a più riprese Matteo Villa (esperto di immigrazione di Ispi – Istituto per gli studi di politica internazionale) su Twitter, e che quindi sarebbe opportuno spazzare via dalla conversazione, è che la correlazione tra la presenza delle Ong nel Mediterraneo e il numero di partenze è pura invenzione.
??🚢 Aggiornamento: ONG E PARTENZE DALLA LIBIA (“PULL FACTOR”).
Qui sotto i risultati, con stime che partono dal 2014 e arrivano a ottobre 2018.Linea leggermente positiva, ma del tutto non significativa. pic.twitter.com/JxsJhPfWBm
— Matteo Villa (@emmevilla) January 20, 2019
«Dal punto di vista comunicativo – ha spiegato Villa alla giornalista di Internazionale Annalisa Camilli – la suggestione dei “taxi del mare” è efficace nel dare l’idea che compiere soccorsi vicino alle coste libiche possa incentivare la partenza dei barconi con i migranti. Ma nella pratica è vero il contrario. I dati mostrano che tra il 2015 e oggi le attività delle ong non hanno fatto da pull factor (cioè non sono un fattore di attrazione) e non sono correlate con l’aumento dei flussi. Che le ong operassero in mare o meno i flussi non ne erano influenzati».
A reiterare l’equivoco si aggiunge la corresponsabilità di molti giornali, che spesso non esitano a comporre i titoli delle loro prime pagine riportando acriticamente le dichiarazioni dei principali leader politici, anche quando queste si rivelano palesemente false. Il fatto che poi il contenuto di quegli articoli smentisca tali dichiarazioni non è una scusante: un’accurata selezione dei contenuti da mettere in evidenza dovrebbe essere alla base della deontologia professionale di qualsiasi testata.
(Foto di Jametlene Reskp su Unsplash)