Il nuovo rapporto Oxfam sui livelli di povertà in Europa, dal titolo “Un’Europa per tutti, non per pochi” (scaricabile qui), restituisce una fotografia preoccupante dell’Unione. Secondo la ong, questo non è conseguenza solo della crisi finanziaria ed economica ancora in corso, ma anche di precise politiche nazionali che hanno favorito l’aumento della disuguaglianza e al contempo favorito l’elusione fiscale da parte delle grandi aziende. La tesi sostenuta (seppure non nuova) è piuttosto pesante e getta delle ombre sulle reali capacità (e intenzioni) dei governi di favorire la coesione sociale, piuttosto che assecondare gli interessi di pochi soggetti portatori di interessi. «Tra il 2009 e il 2013 – scrive Oxfam – il numero di persone che viveva in una condizione di grave deprivazione materiale, vale a dire senza reddito sufficiente per pagarsi il riscaldamento o far fronte a spese impreviste – è aumentato di 7,5 milioni in 19 paesi dell’Unione Europea, inclusi Spagna, Irlanda, Italia e Grecia, arrivando a un totale di 50 milioni. In Italia dal 2005 al 2014 la percentuale di persone in stato di grave deprivazione materiale è aumentata di 5 punti (dal 6,4 per cento all’11,5 per cento). Sono quasi 7 milioni di persone, e tra di loro ad essere più colpiti sono i bambini e i ragazzi sotto i diciotto anni».

Principali indiziate di questi squilibri sono le politiche fiscali e di austerità. Le prime hanno permesso alle grandi aziende di sfruttare la “competizione fiscale” che si è sviluppata tra alcuni Stati (Irlanda e Benelux soprattutto) per garantire una maggiore convenienza alle aziende che trasferiscano sul loro territorio la propria sede legale. Questo ha permesso un maggiore gettito per i Paesi che hanno seguito questa strada, a fronte di una notevole riduzione complessiva della tassazione sul reddito, a svantaggio di tutta l’Europa. La faccenda è spiegata così nel rapporto: «Le società multinazionali dovrebbero, in linea di principio, pagare le giuste tasse laddove si generano i loro profitti; ma in realtà non è così. La concorrenza fiscale sleale all’interno dell’Ue porta a notevoli perdite di gettito per le amministrazioni fiscali europee ma anche per i Paesi in via di sviluppo: si stima che le economie meno avanzate perdano ogni anno 100 miliardi di euro a causa di abusi fiscali e incentivi fiscali non produttivi. Tale cifra avrebbe quasi potuto coprire i 120 miliardi di dollari necessari al raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (Osm) relativi a povertà, educazione e salute». Oxfam stima anche una valutazione della perdita di gettito complessiva dovuta agli abusi fiscali (evasione ed elusione): «1.000 miliardi di euro l’anno in termini di perdita di gettito, una cifra pari al doppio degli investimenti totali nella sanità pubblica dei Paesi Ue».

Per quanto riguarda l’austerità, spesso ci siamo chiesti su ZeroNegativo come si potesse giustificare la sua efficacia a fronte degli effetti recessivi a cui essa porta (come nel caso più recente ed eclatante, quello della Grecia). «Le misure di austerità adottate ovunque in Europa, basate su principi di fiscalità regressiva che guardano solo ai risultati a breve termine e su drastici tagli alla spesa, specialmente nei servizi pubblici come educazione, sanità e sicurezza sociale, hanno demolito i meccanismi che riducono la disuguaglianza e consentono una crescita equa. Tali misure stanno producendo gravi conseguenze sulle società europee, proprio in un periodo in cui molti Paesi sperimentano già livelli di disoccupazione senza precedenti e le donne subiscono ancora la mancanza di pari opportunità».

La denuncia di Roberto Barbieri, direttore di Oxfam Italia, è quindi diretta principalmente verso le istituzioni, incapaci di fare ciò che dovrebbero, ossia gli interessi dei cittadini, e invece troppo disposte a piegarsi a interessi estranei alla buona politica: «In Europa –come del resto in tutto il mondo – la povertà e l’aumento della disuguaglianza non sono fenomeni inevitabili, ma sono l’effetto di scelte politiche troppo spesso effettuate tenendo in conto l’interesse di pochi e non quello di tutti i cittadini europei. Per questo chiediamo all’Unione Europea e ai Paesi membri una maggiore trasparenza sul modo in cui vengono definite le politiche economiche e sociali. Perché non sia sempre una minoranza – potente e ben organizzata, ma pur sempre minoranza – di gruppi ricchi e potenti a dettare leggi che hanno un impatto sulla vita di tutti noi e che colpiscono in particolare i gruppi più vulnerabili». Ciò che si chiede alla classe politica europea è, né più né meno, di rispettare lo spirito dei padri fondatori del progetto europeo: un’Europa per tutti, non per pochi.

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