inquinamento
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«Credo fermamente nel potenziale della crescita verde. Per questi motivi auspico che l’Unione europea dell’energia diventi leader mondiale delle risorse rinnovabili». Le parole, altisonanti quanto lungimiranti, sono del presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker. Sono contenute nel documento programmatico, pubblicato la scorsa estate a seguito della sua nomina. Parole che lasciavano ben sperare, ma che si stanno scontrando con la dura realtà, ossia il probabile accantonamento del cosiddetto “Pacchetto aria” da parte dell’Ue. Tale preoccupazione nasce dal fatto che il 12 novembre l’istituzione presieduta da Juncker abbia consegnato a Matteo Renzi, in qualità di presidente del Consiglio dell’Ue (e a Martin Schulz, presidente del Parlamento europeo), «la proposta di Programma di lavoro della Commissione per il 2015 da cui emerge il “taglio” dalle priorità, e quindi verosimilmente dal Programma stesso, del cosiddetto Pacchetto Aria, contenente proposte cruciali per ridurre l’inquinamento e migliorare la qualità dell’aria che respirano i cittadini europei».

Varie associazioni ambientaliste hanno reagito inviando una lettera al governo, in cui si chiede di intervenire affinché il tema dell’ambiente torni a essere una priorità nel lavoro della Commissione per il 2015. Fare pressioni affinché Juncker torni sui suoi passi sarebbe un modo efficace di dimostrare e far capire anche a noi quali siano il senso e l’importanza del famigerato “semestre europeo”, che tante volte è stato citato nei mesi passati come momento decisivo per il futuro dell’Italia. Sarebbe bene che chi ricopre le più alte cariche all’interno delle istituzioni europee affrontasse i problemi che stanno più a cuore ai cittadini (ma non si tratta di populismo, ci sono numerosi studi scientifici che confermano la necessità di impegnarsi da subito per ridurre l’inquinamento atmosferico): «Il 56 per cento degli europei ha, infatti, dichiarato di sentirsi preoccupato per l’inquinamento dell’aria sopra ogni altra cosa – si legge nella lettera –, timore peraltro in costante crescita. Solo in Italia per l’elevato inquinamento dell’aria muoiono prematuramente oltre 67mila persone, in Europa sono 450mila, senza contare i costi esterni collegati alla salute che si aggirano in una quota fra i 330 – 940 miliardi di euro all’anno».

In questi giorni sono stati pubblicati dall’Istat i risultati dell’indagine sulle cause di morte in Italia (riferiti al 2012). Vi si legge che «Chi ha tra i 45 e i 64 anni muore soprattutto per tumori o problemi cardiaci. I tumori maligni di trachea, bronchi e polmoni sono la causa di morte principale per gli uomini (12 per cento), seguite dalle malattie di vario tipo del cuore (16 per cento)». Ovviamente sono necessari strumenti d’indagine più avanzati per fare correlazioni dirette tra la qualità dell’aria delle nostre città e l’insorgenza di tumori alle vie respiratorie. L’alta incidenza di questo tipo di patologie è però un segnale forte del fatto che l’inquinamento atmosferico non può essere considerato una questione secondaria. D’altra parte non diciamo nulla di nuovo, era lo stesso Juncker a rilevare che «L’Unione europea deve essere in prima fila nella lotta contro il riscaldamento globale in occasione della conferenza delle Nazioni Unite di Parigi del 2015 e oltre, in linea con l’obiettivo della limitazione dell’aumento delle temperature ad un massimo di 2 gradi Celsius al di sopra dei livelli preindustriali. Lo dobbiamo alle future generazioni». Non gli stiamo quindi chiedendo un cambio di rotta rispetto al suo programma politico, bensì ci domandiamo perché abbia cambiato idea, dopo aver pubblicato tali illuminanti parole. In seguito alle pressioni esercitate da governi e associazioni, Juncker e i sei vice presidenti si sono riuniti ieri nuovamente per valutare se modificare o meno il proprio programma di lavoro, includendo l’ambiente tra le priorità. Ancora non è dato sapere quale sia stato l’esito dell’incontro, aspettiamo le prossime ore per sapere “che aria tira” dalle parti di Bruxelles.