«Chi è il responsabile di questo sangue? Nella letteratura spagnola c’è una commedia di Lope de Vega che narra come gli abitanti della città di Fuente Ovejuna uccidono il Governatore perché è un tiranno, e lo fanno in modo che non si sappia chi ha compiuto l’esecuzione. E quando il giudice del re chiede: “Chi ha ucciso il Governatore?”, tutti rispondono: “Fuente Ovejuna, Signore”. Tutti e nessuno! Anche oggi questa domanda emerge con forza: Chi è il responsabile del sangue di questi fratelli e sorelle? Nessuno! Tutti noi rispondiamo così: non sono io, io non c’entro, saranno altri, non certo io». L’omelia di papa Francesco pronunciata ieri mattina sull’isola di Lampedusa non contiene solo citazioni e pensieri sulle sacre scritture, e quello citato in apertura ne è un esempio. Su questo blog non abbiamo ancora mai commentato gesti e parole del nuovo pontefice, e potremmo anche non farlo essendo noi espressione di un’associazione aconfessionale. Ma quando gesti e parole contengono un messaggio universale in grado di parlare a tutti, allora diventano in qualche modo esse stesse “aconfessionali”, nel senso che non hanno bisogno di essere associate a un credo per assumere valore e poter essere condivise.
È forse questa la caratteristica più sorprendente ed “entusiasmante” (passateci il termine) del nuovo papa: la capacità (e comunque la volontà) di andare oltre gli steccati e parlare a tutte le coscienze, a prescindere dalla confessione. Egli si appoggia alle scritture sacre per i cristiani cattolici come alla letteratura, come in questo passaggio in cui sono citati i “Promessi sposi”: «Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro! Ritorna la figura dell’Innominato di Manzoni. La globalizzazione dell’indifferenza ci rende tutti “innominati”, responsabili senza nome e senza volto». E anche quando fa ricorso alle scritture lo fa in un modo che non esclude nessuno, che le fa entrare con naturalezza nelle questioni dell’attualità: «“Adamo dove sei?”, “Dov’è tuo fratello?”, sono le due domande che Dio pone all’inizio della storia dell’umanità e che rivolge anche a tutti gli uomini del nostro tempo, anche a noi. Ma io vorrei che ci ponessimo una terza domanda: “Chi di noi ha pianto per questo fatto e per fatti come questo?”, per la morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini? Per questi uomini che desideravano qualcosa per sostenere le proprie famiglie?».
È un’attualità drammatica -l’immigrazione sui “barconi” della speranza- quella a cui fa riferimento Francesco, e verso la quale ha voluto dimostrare la propria vicinanza con il viaggio apostolico a Lampedusa. La speranza è di arrivare vivi, per i migranti, e poi chissà, magari trovare un’esistenza dignitosa in Europa. Il primo approdo è quello più importante, quello che segna il passaggio dalla vita precedente a quella futura. Per molti non sarà un punto di arrivo ma un punto di partenza verso altre destinazioni, verso altre parti d’Italia o altri Paesi, o, se va male, verso un Centro di identificazione ed espulsione. Proprio ieri sono sbarcati, oltre a Francesco, 166 migranti a bordo di un barcone, dopo un viaggio durato più di due giorni. Ne sarebbe stata data notizia se il fatto non fosse avvenuto in concomitanza con l’arrivo del pontefice? Probabilmente no, o almeno non con la stessa risonanza, anche a giudicare dalle parole del sindaco di Lampedusa e Linosa, Giuseppina Nicolini: «Per noi è la normalità». E quando una tragedia diventa normale scatta per molti quella che Francesco condanna, l’indifferenza: «La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza». Insomma, di qualunque confessione siamo, l’invito è a somigliare più al buon samaritano e meno agli abitanti di Fuente Ovejuna.