«I paradisi fiscali sono una minaccia per la democrazia; minano lo stato di diritto attraverso la dissimulazione; sono il mezzo preferito dagli evasori di ogni tipo e favoriscono la sottrazione di ricchezze pubbliche negli stati in cui forte è la concussione e la corruzione». Così Natalie Nougayrède, su Le Monde, a margine della mega-inchiesta (perdonateci l’iperbole, ma è d’obbligo vista la mole di dati analizzati) sui paradisi off-shore che il giornale francese sta pubblicando a puntate. L’inchiesta è iniziata mesi fa e si basa sulla consultazione di una banca dati da parte di un pool internazionale di 86 giornalisti di 38 testate. 122mila società considerate, per un totale di due milioni e mezzo di schede analizzate, catalogate e confrontate. In quel limbo che sta ai confini della legalità, in cui si muovono quantità di denaro in grado di sovvertire gli equilibri mondiali (si dice che le somme depositate nei paradisi fiscali ammontino alla somma del pil di Stati Uniti e Giappone), ci finiscono un po’ tutti. Ci sono anche i nomi di duecento italiani, e sono stati pubblicati dall’Espresso del 5 aprile.
È quella terra di nessuno in cui si muovono speculatori, finanzieri, ma anche veri e propri truffatori, per gestire i propri affari e interessi, e in cui trovano terreno fertile dinamiche come quella che ha portato alla crisi del 2007-2008. Già allora i capi di Stato di mezzo mondo si erano espressi a favore di una regolamentazione del fenomeno, e si erano impegnati a collaborare per stringere le maglie della trasparenza delle operazioni attorno a questo opaco insieme di società, banche e operatori. Per ora sono più che altro parole. Chissà che questa enorme risorsa non faccia la fine della lista Falciani-Lagarde, che ha messo in difficoltà con la legge più quelli che hanno tentato di renderla pubblica che le persone in essa nominate.
Una parziale apertura in questo senso è arrivata da cinque Paesi europei (Germania, Francia, Italia, Spagna e Regno Unito), che ieri hanno inviato una lettera alla Commissione europea per annunciare «un accordo pilota multilaterale sullo scambio di informazioni» per favorire la lotta all’evasione fiscale. Ci chiediamo com’è possibile che l’Europa non si muova con una voce comune su un tema tanto condivisibile e prioritario. E se lo chiedono anche i ministri firmatari della lettera, che infatti scrivono: «Invitiamo altri Paesi membri dell’Unione ad associarsi a questo progetto-pilota, e speriamo che l’Europa prenderà la guida nel promuovere un sistema globale di scambio di informazioni che contribuisca a rimuovere i nascondigli per tutti coloro che cercano di evadere le tasse». Li invitiamo anche noi, perché solo dalla condivisione dei dati può nascere un anello che si stringa attorno alla piaga dell’evasione.