L’espressione “revenge porn” è entrata nel lessico per descrivere i casi in cui qualcuno diffonde immagini o video di momenti di intimità di un’altra persona, spesso col risultato di comprometterne la reputazione e le relazioni sociali. Questa definizione, però, comporta diversi problemi, come spiega Claudia Torrisi su Valigia Blu.

In Italia si è tornati a parlare di “revenge porn” con il caso della maestra della provincia di Torino, allontanata dalla direttrice della scuola dopo che la mamma di uno dei bambini aveva denunciato all’istituto di aver visto un video intimo privato inviato dalla ragazza all’ex fidanzato al tempo della loro relazione. L’ex compagno aveva condiviso le immagini nella chat della squadra di calcetto, dove era presente anche il marito della signora. Questi l’aveva mostrato alla moglie, che ha ulteriormente fatto circolare il video, facendo partire la gogna nei confronti della maestra, che è stata poi licenziata. La ragazza ha denunciato l’ex fidanzato, e ha portato in tribunale anche la direttrice e la donna che aveva contribuito alla diffusione delle immagini.

Seppur il termine “revenge porn” sia entrato nell’uso comune, chi si occupa del tema preferisce parlare di “diffusione non consensuale di immagini intime” (Non-consensual Dissemination of Intimate Images, DNCII). «Usare questa definizione è un modo per raccogliere con un concetto ombrello una serie di pratiche che spesso e volentieri vengono legate alla situazione dell’ex che alla fine della relazione diffonde foto e immagini intime, ma che sono molto più estese», spiega a Valigia Blu Silvia Semenzin, sociologa e ricercatrice postdoc all’Università Complutense di Madrid, promotrice nel 2018 della campagna “Intimità violata”. «Il più delle volte parliamo di un fenomeno che funziona per così dire a catena – aggiunge – quindi nel momento in cui qualcosa viene pubblicato su Internet diventa virale, purtroppo specialmente quando si tratta di materiale intimo».

Il problema è più ampio e pervasivo di quanto si pensi, ed è anche cresciuto con la pandemia e il lockdown. Nel Regno Unito, ad esempio, la linea telefonica di assistenza promossa dal governo per chi subisce questo tipo di abusi ha ricevuto il 22% di chiamate in più rispetto allo scorso anno.

Qualche mese fa, un’inchiesta pubblicata da Wired ha raccontato l’esistenza di un gruppo Telegram in cui circa 60.000 utenti si scambiavano foto e video di ragazze (anche minorenni): amiche, ex fidanzate, conoscenti, cugine, parenti. Ovviamente senza alcun consenso delle stesse alla divulgazione. Da maggio a oggi, si legge nel report di Permessonegato, associazione che dà assistenza alle vittime di violenza online, il numero di questi canali è triplicato, da 29 a 89, e gli utenti complessivi sono passati da 2,2 milioni a oltre 6 milioni. Il rapporto afferma che “la diffusione non consensuale di immagini private a sfondo sessuale, a scopo di vendetta o meno, mostra un rischio generalizzato: nessuna classe sociale o demografica è esclusa”.

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(Foto di Eddy Billard su Unsplash)

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