C’è una parola che in questo momento spaventa la classe politica regionale italiana più di ogni altra: rimborsi. Praticamente nessuna regione è esente da indagini su presunte spese personali effettuate da governatori, consiglieri e collaboratori utilizzando i soldi pubblici. Altra parola chiave: peculato. Che vuol dire proprio questo: appropriarsi di denaro (o altra risorsa “mobile”) pubblico in forza della propria posizione di potere e utilizzarlo per finalità non riconducibili all’attività politica. A leggere l’elenco della merce acquistata (in molti casi le indagini sono ancora in corso, ma c’è ampiamente di che indignarsi) viene da chiedersi come sia possibile una tale disinvoltura.
In Sicilia «C’è chi avrebbe comprato l’auto personale con i soldi destinati al gruppo parlamentare di appartenenza e chi invece si sarebbe regalato un gioiello, e c’è poi chi avrebbe pagato il viaggio di lusso per sé e per famiglia e chi avrebbe fatto shopping sfrenato con l’acquisto anche di borse Louis Vuitton», scrive Il Sole 24 Ore. Nell’inchiesta sono coinvolte 97 persone di cui 83 parlamentari regionali, tutti eletti nella scorsa legislatura e alcuni ancora in carica.
Anche l’altra grande isola italiana, la Sardegna, ha saputo esprimere in questi anni grandi performance di shopping dei consiglieri a spese del contribuente. La vicenda è riassunta dalla giornalista Alessandra Carta sul Sardinia Post in un doloroso dizionario che spiega dalla a alla zeta i cinque anni di indagini che hanno coinvolto 64 onorevoli accusati di peculato, tre dei quali arrestati. Tutto è nato da un conflitto tra Giuseppe Atzeri, un tempo presidente del gruppo Misto, e l’impiegata Ornella Piredda, che aveva l’ardire di chiedere la rendicontazione delle spese ai consiglieri. Per ritorsione la Piredda si vede ridurre drasticamente lo stipendio, nel 2008 denuncia due volte il capogruppo per mobbing e da lì l’avvio dell’inchiesta.
Guardando a Nord c’è la Lombardia, in cui 59 persone sono indagate per la questione dei rimborsi. Tra questi i nomi celebri di Renzo Bossi, del padre Umberto e di Nicole Minetti. Si continua col Piemonte, il cui caso è cronaca di questi giorni. Al di là delle celebri “mutande verdi”, la procura di Torino accusa il presidente Roberto Cota di essersi fatto rimborsare dal gruppo regionale 25.400 euro di spese personali. Si è aggiunta poi la Liguria, dove le indagini hanno portato finora a un arresto, quello di Nicolò Scialfa, «oggi consigliere indipendente, ma ex vicepresidente della giunta ed ex capogruppo Idv. A Scialfa, docente di filosofia alle superiori, il procuratore aggiunto Nicola Piacente contesta i reati di peculato e falso e il gip Roberta Bossi ha concesso i domiciliari ma con considerazioni pesantissime: “Utilizzo disinvolto ed abnorme di pecunia pubblica, negativa personalità… totale indifferenza e spregio per gli interessi economici della collettività”». Un quadro a dir poco agghiacciante, anche se purtroppo viene da pensare che non vi è nulla di nuovo sotto il sole.