Pensare alla politica è un fattore di stress. Lo hanno rilevato alcuni ricercatori canadesi, che hanno chiesto a un gruppo di persone di tenere un diario in cui segnare, alla fine di ogni giornata, il fatto politico a cui avevano pensato di più quel giorno, e qual era il loro stato d’animo in risposta. Mettendo assieme le risposte di tutti i partecipanti, si è visto che gli eventi politici che si susseguivano giorno per giorno mettevano di cattivo umore le persone, con conseguenze a livello psicologico e fisico. Chi pensava meno alla politica, al contrario, stava mediamente meglio degli altri. L’altra faccia della medaglia è che evitare il dibattito politico, per esempio smettendo di informarsi, ha come conseguenza una minore partecipazione. Chi segue con più assiduità l’attualità politica, è stato rilevato, è anche più propenso a partecipare a iniziative di attivismo, volontariato o protesta. Evitare le notizie è dunque una delle strategie per evitare lo stress provocato da un’eccessiva esposizione, e conduce però a una minore partecipazione politica e civica. Un’altra strategia utilizzata da molte persone per regolare i propri stati emotivi è la “rivalutazione” dei fatti. Per affrontare le emozioni negative date dalla lettura di un qualche tipo ingiustizia, per esempio un episodio di corruzione, molte persone sono portate a ridimensionare l’accaduto e convincersi che alla fine “la giustizia farà il suo corso”. Questo aiuta a sentirsi meglio e calmare il disagio psicologico, ma rende anche meno probabile che poi quella persona prenda parte a eventuali azioni di protesta contro quell’ingiustizia. C’è quindi un complicato compromesso da tenere presente, che riguarda sia chi si occupa di produrre notizie (cioè soprattutto i giornali e i media in generale) sia i gruppi che cercano di coinvolgere la popolazione in azioni di protesta o di iniziativa politica. Bisogna sapere che, per indurre una qualche risposta nelle persone, le si sta esponendo a emozioni negative che influiranno sul loro benessere psico-fisico.
In Italia
Lo studio ha preso in considerazione cittadine e cittadini statunitensi, quindi bisogna stare attenti a traslarne i risultati su altri contesti. C’è da dire però che il giornalismo italiano è particolarmente propenso a produrre ogni giorno polemiche e “scandali” nuovi, destinati a spegnersi nel giro di pochi giorni. L’intento sembra proprio quello di “accendere” la sfera emotiva del lettore, che di giorno in giorno è portato a indignarsi per questa o quella presunta storia da seguire (dimenticandone altre). Il risultato, lo stiamo vedendo in questi anni, è un generale discredito della classe politica nel suo complesso (che comunque ci ha messo del suo per attrarsi critiche spesso giuste) e una difficoltà diffusa nell’analizzare le questioni in maniera complessiva. Quanto tempo durerà l’indignazione per lo stipendio del presidente dell’Inps, Pasquale Tridico? Quanto le discussioni sul dissesto idrogeologico in Italia? E ve la ricordate la storia dei parlamentari che avevano chiesto e ottenuto il bonus da 600 euro per le partite Iva? Sentiremo mai riparlare dei banchi monoposto per le scuole? Avremo mai accesso ai bandi pubblici pubblicati dal commissario straordinario per la gestione dell’emergenza, Domenico Arcuri? La smetteranno prima o poi i giornali di enfatizzare i dati giornalieri sui contagi, che non aiutano a capire l’andamento complessivo della pandemia? Ci sarà mai una revisione dell’accordo di Dublino? Quanto durerà la discussione sulla “semplificazione” e “sburocratizzazione” dell’Italia? (Ma non vi sembra di averla già sentità?) E il Mes? E il Recovery Fund, o Next Generation EU? Per non parlare del vaccino contro il coronavirus annunciato per “imminente” ormai da mesi, chi ci aiuta a capire? Perdonateci, abbiamo sicuramente peggiorato il vostro umore con tutte queste domande. Ma volevamo ricordarvi alcune delle tante questioni in sospeso, prima che scoppi la prossima polemica.
(Foto di Inzmam Khan from Pexels)