
Si riparla di vendita di Alitalia, e di nuovo l’accento cade sui costi che questo avrà sulla collettività. Su quest’ultimo punto, infatti, non ci sono mai dubbi. Al limite si tratta di capire con precisione la cifra, ma si può stare certi del fatto che saranno i cittadini a sostenere i costi delle manovre politiche che ruotano attorno a un’impresa in difficoltà da decenni. In questi giorni ci troviamo di fronte alla riedizione di un film già visto, aggiornato in qualche dettaglio per sorprendere gli spettatori meno attenti.
La versione precedente andò in scena nel 2008, quando per scongiurare la perdita dell’“italianità” dell’azienda si fece in modo di far cadere l’offerta di Air France-Klm per l’acquisto delle quote messe in vendita, preferendo la famosa “cordata” messa in piedi dall’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, succeduto a Romano Prodi. Il risultato è ben sintetizzato in chiusura di un articolo del Post: «Cai comprò Alitalia offrendo 700 milioni in meno rispetto ad Air France-Klm – e anche meno, visto che alla fine “capitani coraggiosi” sborsarono effettivamente solo 300 milioni. L’operazione è costata allo Stato l’esubero, cioè il riassorbimento in un altro incarico, di 7mila lavoratori invece che di poco più di 2mila, a cui tra l’altro è stata garantita una cassa integrazione molto lunga. A questo andrebbe aggiunto il costo della bad company, sempre a carico dello stato, che secondo alcuni potrebbe essere addirittura di 2 miliardi di euro». Bel risultato, non c’è che dire, ma comunque ci fu chi festeggiò, perché l’italianità era salva.
Come dicevamo, basta cambiare alcune parole chiave, qualche nome, qualche cifra, e il viaggio indietro nel tempo di sei anni è compiuto. Oggi l’offerta arriva da Etihad, compagnia di bandiera degli Emirati Arabi Uniti, gli esuberi previsti si aggirano attorno ai 2.500 lavoratori, e stavolta non è il governo italiano a mettersi in mezzo ma la commissione europea, che vigila sull’operazione in difesa dell’“europeità” della compagnia. Riportiamo dal Corriere: «“La compagnia aerea non solo deve avere una proprietà maggioritaria da parte di interessi Ue, ma anche il suo controllo deve rimanere in mani Ue” ha detto Helen Kearns, portavoce del commissario Ue ai trasporti, Siim Kallas, che è responsabile del dossier Alitalia. Se così non fosse, “le regole Ue sul controllo e la proprietà sarebbero violate dall’Italia”». «Purtroppo l’Unione Europea si arroga il diritto di insegnare lezioni di liberismo agli altri quando in realtà la parola d’ordine è il protezionismo (agricoltura e aviazione sono esempi piuttosto limpidi)», scrive Carlo Scarpa su Lavoce.info.
L’unico aspetto immutabile è il costo della manovra, qualora questa dovesse concretizzarsi, ossia l’intervento a tutela di chi perde il posto di lavoro; quegli ammortizzatori sociali faticosamente conquistati nel corso di anni di lotte politiche, che diventano un costo insostenibile in un momento di grave crisi con percentuali di disoccupazione drammatiche. «Un aspetto particolarmente frustrante è che oggi probabilmente non abbiamo molta scelta: data un’esposizione debitoria immensa e flussi di cassa che continuano a frustrare le speranze, l’alternativa ad accettare di pagare per i 2.500 esuberi di oggi sarebbe la chiusura – comunque più pesante anche per le casse del nostro welfare state». Per concludere, la sceneggiatura sembra quindi pericolosamente simile a quella del 2008 anche nel finale. Staremo a vedere, sperando, quando sarà tutto finito, di poterci ancora permettere almeno i pop-corn.