Dei tanti temi su cui l’Europa cerca di darsi una politica comune, quello della gestione dei flussi migratori è senz’altro uno dei più problematici. Mentre però si discute dello scarso successo dei meccanismi di ridistribuzione dei migranti tra Stati membri, a margine del discorso c’è la difficile situazione di coloro che, arrivati in Europa da minorenni, si ritrovano con un sistema di tutele e protezioni che svanisce in maniera piuttosto brutale al compimento dei 18 anni. «Entrare nell’età adulta non è per noi una transizione ma la fine di tutto il sistema di supporto e protezione su cui possiamo fare affidamento». L’ha detto A., 20enne eritreo oggi residente in Olanda. La dichiarazione si trova in un report di Oxfam che affronta questo tema.

«Dal report emerge chiaramente che nessuno dei cinque paesi presi in esame – Francia, Grecia, Paesi Bassi, Irlanda e Italia – ha adottato politiche sistemiche in grado sostenere i giovani migranti nel loro percorso di integrazione – si legge sul sito di Oxfam –. Uno dei capisaldi della legislazione europea è la protezione dei minori a prescindere dal loro status legale, grazie al quale si garantisce una difesa dal rischio di sfruttamento, abusi, abbandono – ha detto Giulia Capitani, policy advisor di Oxfam Italia su migrazione e asilo –. Diventare maggiorenni non vuol dire che questi rischi scompaiano dall’oggi al domani. A sparire improvvisamente è ogni forma di protezione, con ragazzi che rischiano in molti casi di ritrovarsi per strada senza nessuno a cui rivolgersi».

In Italia, la situazione è particolarmente difficile per i neomaggiorenni, perché a 18 anni decade il diritto a non essere espulsi. Nel caso in cui ci sia una richiesta di asilo ancora in fase di esame nel momento in cui la persona compie 18 anni, e questa venga rigettata, il rischio di espulsione (o comunque di diventare irregolare) si fa concreto perché, spiega Oxfam, viene preclusa la possibilità di ottenere un permesso di soggiorno di qualunque tipo, anche per studio o lavoro.

Le cose non sono più semplici per chi da minorenne ha un permesso di soggiorno. Al compimento dei 18 anni dovrà infatti dimostrare di essere in possesso di specifici requisiti per poterlo convertire in permesso di studio, lavoro o attesa di occupazione.

Un approfondimento sull’Italia pubblicato da Oxfam spiega che per ottenere questa conversione la persona deve possedere un passaporto o un documento di nazionalità, e trovarsi in una di queste condizioni: essere in Italia da almeno tre anni e aver seguito per almeno due anni un progetto di integrazione sociale; frequentare un corso di studi oppure svolgere un’attività lavorativa retribuita, oppure possiede un contratto di lavoro (anche se non ancora iniziato); se è arrivato in Italia dopo i 17 anni, avere ottenuto parere positivo alla conversione da parte della Direzione generale Immigrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

Come si può intuire, si tratta di criteri spesso molto difficili da rispettare, per diversi motivi. Innanzitutto, avere un passaporto è tutt’altro per scontato per chi spesso arriva senza documenti.

Spesso poi i giovani arrivano in Italia a ridosso dei 18 anni, quindi la finestra disponibile per avviare un percorso lavorativo o scolastico è brevissimo, con il rischio di non maturare i requisiti richiesti.

«Un meccanismo “di protezione” previsto dalla normativa italiana – spiega il report – è il cosiddetto “prosieguo amministrativo”. Si tratta di un’estensione dell’affidamento ai servizi sociali che viene richiesta al Tribunale dei Minori quando il ragazzo “al compimento della maggiore eta?, pur avendo intrapreso un percorso di inserimento sociale, necessita di un supporto prolungato volto al buon esito di tale percorso finalizzato all’autonomia”». Ma anche questo presenta dei problemi: «la legge non indica che tipo di tariffa debba essere applicata alle strutture che ospitano i neomaggiorenni (se per minori o per adulti), ne? se il ragazzo debba essere trasferito in una struttura per adulti o se possa/debba rimanere nella struttura per minori in cui si trova. Cosi? tutto viene lasciato alla discrezionalita? dei Comuni. Una buona soluzione, praticata in molti territori ma non sistemica, è rappresentata dai cosiddetti “appartamenti per l’autonomia”, appartamenti in condivisione gestiti da enti del terzo settore e coadiuvati dalla presenza saltuaria di un peer educator».

«I ragazzi si ritrovano di fronte a procedure farraginose, che non sono in grado di affrontare da soli e che non tengono conto delle loro reali esigenze o delle effettive possibilità che i territori offrono. Esponendoli al rischio di perdere il diritto a restare regolarmente in Italia», aggiunge Capitani. «Al Governo italiano chiediamo di affrontare in modo più organico il passaggio dei minori non accompagnati all’età adulta, garantendo il coordinamento di tutti gli attori coinvolti – conclude Capitani –. E di promuovere in particolare il ruolo dei tutori volontari, previsto dalla Legge Zampa, e dei tutori sociali dopo il compimento della maggiore età. All’Europa, di spingere gli Stati Membri verso politiche strutturate e di mettere a disposizione più fondi per l’integrazione».

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