Nel mondo della ricerca c’è una serie di mansioni che non hanno una ricaduta diretta sull’avanzamento della carriera, ma che sono comunque necessarie e richiedono tempo per essere svolte: aiutare altre persone nel loro lavoro, partecipare a comitati di governance, organizzare eventi, fare da mentore o anche risolvere controversie tra colleghi.

Fin qui tutto bene, se non fosse che alcune scienziate hanno notato che questo tipo di mansioni occupa più spesso il tempo delle ricercatrici che dei ricercatori. Alle prime viene chiesto più spesso di svolgere questi compiti, e la pressione sociale a farsene carico è forte.

«Negli ultimi dieci anni abbiamo condotto una ricerca sul lavoro che non aiuta a fare carriera, nel tentativo di capire perché noi, insieme a molte altre persone, ne svolgessimo così tanto – hanno scritto su Nature le autrici dello studio Linda Babcock, Brenda Peyser, Lise Vesterlund e Laurie Weingart –. Abbiamo dato a questo tipo di lavoro un nome: compiti non promuovibili (CNP). Un lavoro che sebbene sia importante per un’organizzazione, non porta alcuna ricompensa o riconoscimento esterno all’individuo che lo svolge».

Le autrici identificano tre caratteristiche dei CNP: non sono direttamente legati alla missione dell’organizzazione; sono in gran parte invisibili e di solito vengono svolti dietro le quinte; raramente richiedono competenze specialistiche.

Prendiamo il caso, scrivono, di una ricercatrice a cui venga chiesto di organizzare un evento di team building per il suo laboratorio. Sebbene l’evento sia importante, il tempo speso per organizzarlo non è direttamente collegato ai risultati della ricerca della scienziata; la maggior parte della pianificazione viene fatta in solitudine, quindi nessuno è consapevole del tempo impiegato, e il lavoro non richiede alcuna preparazione scientifica. Sebbene tali sforzi possano aumentare la produttività del team, non vengono comunque ricompensati e la carriera della scienziata avrebbe probabilmente avuto un impulso maggiore se avesse dedicato il suo tempo alla ricerca.

Gli studi dimostrano che le donne, a prescindere dalla professione, si fanno carico della maggior parte dei CNP.

In una serie di esperimenti, le autrici dell’articolo hanno studiato chi accetta di “sacrificarsi per la squadra” e di occuparsi di un compito che tutti vorrebbero fosse svolto, ma da qualcun altro. Osservando gruppi misti, abbiamo scoperto che le donne avevano il 48% di probabilità in più di offrirsi volontarie per svolgere il compito, il 49% di probabilità in più di dire di sì quando veniva loro chiesto direttamente e il 44% di probabilità in più di ricevere la richiesta di svolgere il compito. «La ragione di fondo è semplice e triste – scrivono le autrici –: tutti ci aspettiamo che le donne si occupino di queste mansioni, ed è per questo che glielo chiediamo più spesso e le giudichiamo in maniera negativa quando dicono di no. Le donne hanno interiorizzato queste aspettative e sentono una forte pressione a dire di sì».

Le scienziate, che nella loro esperienza hanno imparato a dire di no più spesso, hanno però scoperto una conseguenza involontaria del loro rifiuto: spesso il lavoro va a un’altra donna. Si sono quindi rese conto che il problema non si risolve con il rifiuto delle singole donne, ma bisogna sviluppare soluzioni che i vertici delle organizzazioni possano applicare per evitare che le donne siano costrette a rifiutare il lavoro o a farsene carico. Di seguito presentiamo una sintesi delle proposte delle autrici.

Smettere di chiedere di offrirsi volontari. Le donne sono più propense degli uomini a fare volontariato per un CNP, quindi chiedere ai volontari di farsi avanti aggrava l’iniquità nell’assegnazione. Del resto se si cerca un volontario, allora probabilmente quasi tutti i presenti alla riunione sono qualificati per svolgere il compito. Allora perché non assegnarlo in modo più equo?

Aumentare la consapevolezza del lavoro non promuovibile. «Aiutate tutti i membri dell’organizzazione a capire quali compiti possono far progredire la loro carriera e quali no. Definite chiaramente tutti i compiti come promuovibili o non promuovibili o, per un approccio più raffinato, dividete i compiti in fasce di “promuovibilità”. Sapere dove concentrare il tempo aiuta sia i dipendenti che l’organizzazione».

Assegnare il lavoro in modo strategico per sfruttare le competenze specialistiche. Un compito che per una persona in una certa posizione gerarchica è “non promuovibile” potrebbe invece esserlo per chi sta a un livello inferiore.

Ridistribuire i compiti per creare carichi di lavoro equi. Bisogna raccogliere dati sul carico di CNP di ogni persona per verificare se qualcuno ne sta facendo troppi, e poi riassegnare i compiti a chi ha un carico più leggero o a coloro per cui il compito potrebbe essere promuovibile.

Considerare la possibilità di dare ricompense per alcuni CNP. L’organizzazione di un evento può comportare una grande mole di lavoro. Ricompensare lo sforzo riducendo gli incarichi di insegnamento o offrendo finanziamenti per la ricerca renderà più facile assumere l’incarico. Un’altra opzione, se possibile, è dare un pagamento una tantum alla persona che si assume il compito.

(Foto di Vie Studio su Pexels)

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