Da alcuni mesi, in coincidenza della ripresa dell’economia data dalla fine della fase più acuta della pandemia, la carenza di materie prime sui mercati mondiali sta determinando un aumento dei prezzi. Con lo scoppio della guerra in Ucraina, tali aumenti si sono estesi e aggravati, per motivi non sempre direttamente legati a una riduzione della disponibilità dei prodotti. Lo si è visto con gli aumenti del prezzo della benzina, ma anche del grano, di cui l’Ucraina è un grande esportatore e l’Europa un grande importatore.
Questo ha portato alcuni a mettere in discussione alcune delle priorità che l’Unione europea si era data in termini di riduzione delle emissioni agricole. All’interno del pacchetto di iniziative, c’è per esempio la strategia “Farm to Fork” (dalla fattoria alla forchetta), che punta a creare un sistema alimentare basato su equità, salute e rispetto dell’ambiente. In Francia, come ha scritto su Le Monde il giornalista scientifico Stéphane Foucart, le lobby dell’agricoltura hanno approfittato della situazione per spingere con successo i propri argomenti, che vedono nell’aumento della produzione un passo importante per raggiungere la “sovranità agricola”. Il timore (e alcune dichiarazioni di politici sembrano confermarlo) è che si voglia smantellare l’impegno a rendere più sostenibile l’agricoltura in Europa.
Ridurre i pesticidi e i fertilizzanti sintetici, eliminare gradualmente gli allevamenti industriali, aumentare la superficie destinata all’agricoltura biologica: tutto questo porterebbe a una “decrescita” incompatibile con la crisi ucraina, è l’argomento usato. «L’Europa non può assolutamente permettersi di produrre meno», ha detto il presidente Emmanuel Macron.
Tutto ciò sembra avere senso, spiega Foucart: con più di un quarto delle esportazioni mondiali di grano provenienti dalla Russia e dall’Ucraina, sembra folle non cercare di aumentare la produzione, continuando così a non essere autosufficienti e a non assicurare cibo ai paesi poveri, il cui approvvigionamento di grano dipende da quelli più ricchi. «Questa narrazione ha il merito di essere facile da capire. Ma, ahimè, è falsa», scrive Foucart.
Un grande ostacolo alla fornitura di cereali ai paesi del Sud è, oltre alla loro disponibilità, il prezzo, che è stabilito dai mercati. Nelle ultime settimane, i prezzi delle materie prime agricole sono aumentati a un ritmo senza precedenti e finora hanno avuto molto più a che fare con il panico e/o la speculazione che con reali carenze. Ciò che motiva “l’agribusiness” a produrre di più – i prezzi alti – è quindi esattamente ciò che ostacola l’accesso dei più poveri al cibo.
«Un piccolo aumento della produzione europea (probabilmente non più di qualche punto percentuale) potrebbe far scendere questi prezzi in modo sostanziale?», si chiede Foucart, che si risponde: «È improbabile. I mercati agricoli sono così finanziarizzati che le fluttuazioni dei prezzi riflettono sempre meno la reale disponibilità e/o qualità delle risorse. Inoltre, nessuno può prevedere il comportamento di questi mercati in un contesto in cui la follia di un uomo determina il destino di più di un quarto della produzione mondiale di grano».
Per garantire la sicurezza alimentare, aiutare i paesi poveri è senza dubbio più efficace di un aumento marginale della produzione europea, al costo di un ulteriore degrado della situazione climatica e della biodiversità.
L’appello degli agroindustriali a una maggiore indipendenza alimentare è visto da Foucart come quello di un sistema che cerca di alimentare se stesso, come un cane che si morde la coda. «L’agricoltura convenzionale funziona solo con una fornitura continua di idrocarburi – spiega –, che, come si sa, scarseggiano in Europa. I pesticidi sintetici? Derivati petrolchimici. I fertilizzanti azotati (di cui la Russia è il primo esportatore mondiale e la Francia il primo importatore europeo)? Sono prodotti con gas naturale e il loro prezzo è più che triplicato in un anno. Nel sistema attuale, voler produrre di più in nome dell’indipendenza agricola è un po’ come voler mettere più auto sulla strada in nome del risparmio energetico».
Il 18 marzo quasi 200 agronomi, agro-economisti e agro-ecologi europei hanno pubblicato un appello che chiede ai decisori «di non abbandonare le pratiche agricole sostenibili per aumentare la produzione di grano».
«Gli sforzi politici per abbandonare gli obiettivi di sostenibilità della strategia “Farm to Fork” (…) non ci proteggono dalla crisi attuale – sostengono – piuttosto la aggravano e la rendono permanente». Secondo i ricercatori, tre leve possono essere sfruttate per affrontare la crisi attuale. In primo luogo, ridurre il consumo di carne e di latticini, il che permetterebbe di produrre ed esportare molto più grano per il consumo umano (più del 60 per cento delle terre arabili europee sono destinate all’alimentazione animale). In secondo luogo, promuovere metodi di produzione sostenibili per ridurre la dipendenza dai fertilizzanti sintetici e dai pesticidi. Infine, ridurre lo spreco sistematico di cibo (il grano sprecato nell’Unione europea rappresenta circa la metà delle esportazioni ucraine).
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