Alla fine di marzo 2020, uno studio di laboratorio mostrò che il SARS-CoV-2 può restare attivo su plastica e acciaio inossidabile per giorni. La scoperta creò un certo allarme, dando avvio a protocolli che prevedevano di disinfettare con cura e periodicamente tutte le superfici. Le linee guida dell’Organizzazione mondiale della sanità, pubblicate poco tempo prima, confermavano questa ipotesi, suggerendo che il virus che causa il COVID-19 si possa diffondere attraverso superfici contaminate. Mentre gli scienziati approfondivano la loro conoscenza del nuovo coronavirus, le disposizioni però cambiavano. Già a maggio dello scorso anno, scrive Nature, il Centro di controllo e prevenzione delle malattie negli Stati Uniti aggiornava le proprie direttive, sostenendo che non fossero le superfici “la principale” via di trasmissione del virus, e oggi aggiunge che non è nemmeno una via “comune” di contagio. Man mano che passava il tempo, era sempre più chiaro che la via di trasmissione principale è quella aerea. Respirando, parlando, tossendo e starnutendo, le persone infette diffondono nell’aria goccioline di saliva più o meno grandi (rispettivamente dette droplets e aerosol) che restano in sospensione e coprono una certa estensione. Le persone intorno inalano queste particelle e possono contrarre il virus, ed è così che avviene la maggioranza dei contagi.
Ma quindi, perché continuiamo a disinfettare le superfici? La risposta di Nature è semplice quanto poco entusiasmante: perché è più facile che migliorare i sistemi di ventilazione, soprattutto in inverno. Vuol dire che governi, aziende e persone continuano a investire enormi quantità di tempo e denaro per la disinfezione delle superfici, mentre parte di quei soldi potrebbe essere destinata ad altro (per esempio migliorare gli impianti di ventilazione). Alla fine del 2020 le vendite di disinfettanti per superfici a livello mondiale aveva raggiunto i 4,5 miliardi di dollari, con un aumento del 30 per cento rispetto all’anno precedente.
Non vogliamo con questo lanciare messaggi pericolosi: gli scienziati non sono in grado di escludere completamente la trasmissibilità attraverso le superfici, e quindi disinfettarle resta una procedura di sicurezza da seguire, così come lavarsi con frequenza e attenzione le mani.
Un altro elemento che ha portato gli scienziati a dare importanza alla trasmissione attraverso le superfici sono stati altri esperimenti, effettuati in laboratorio, che confermavano come il virus rimanesse attivo a lungo sugli oggetti. Uno studio pubblicato ad aprile 2020 rivelava che il virus rimane attivo sei giorni su superfici dure come plastica e acciaio inossidabile, tre giorni sulle banconote, sette giorni sulle mascherine chirurgiche. Uno studio successivo ha mostrato che resta attivo sulla pelle per quattro giorni mentre sui vestiti solo otto ore. Un altro ancora ha trovato tracce di virus infettivo sui libri di una biblioteca dopo otto giorni.
Questi esperimenti, per quanto accurati, non implicano però che le persone si ammalino attraverso le maniglie delle porte o altri oggetti. Le condizioni in cui avvengono sono molto lontane da ciò che accade fuori dai laboratori, e quindi molti studiosi sconsigliano di ipotizzare correlazioni rispetto al contagio. Allo stesso tempo, lo ribadiamo, questo non implica che la trasmissione attraverso le superfici non possa avvenire in certe condizioni, ed è per questo che la regola di lavarsi spesso e con cura le mani non va messa in discussione.
(Foto di Nino Maghradze su Unsplash)
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