L’altro lato della medaglia della cosiddetta “fuga dei cervelli” è la scarsa capacità italiana di attrarre “cervelli” da altri paesi. Liberato Manna, su Scienza in Rete, analizza gli ostacoli pratici che portano molti ricercatori stranieri che vorrebbero spostarsi in Italia per condurre le proprie ricerche a desistere.

Da molto tempo si parla in Italia del problema della fuga di cervelli. Tuttavia, la questione è mal posta, poiché il vero problema è se si possa pervenire a una sorta di equilibrio fra i cervelli che lasciano il nostro paese e quelli che vi fanno ingresso, non solo (o non tanto) a livello di quantità ma anche e soprattutto di qualità. Sorge quindi spontanea la domanda: ma il “sistema Italia” è lontanamente appetibile per un ricercatore che voglia trasferirvisi da uno stato estero, e quanto è difficile accedervi? Tralasciamo la questione degli italiani di ritorno, complessa e legata anche a questioni personali o di attaccamento al proprio paese, e focalizziamoci invece sulla prospettiva di un ricercatore straniero, a un qualsivoglia stadio della propria carriera, che prenda in considerazione l’Italia come luogo in cui continuare la propria carriera di ricerca. La mia analisi vuole affrontare soprattutto degli aspetti pratici, quindi non prenderà in considerazione la scarsa attrattività del nostro sistema ricerca a livello di stipendi, i quali sono poco confrontabili con la media europea, se non quando le offerte di lavoro sono chiaramente legate a particolari schemi di finanziamento (per esempio le borse Marie Sklodowska-Curie). Sorvolerò inoltre sul fatto che, in Italia, tranne che in rarissime realtà di ricerca, un’offerta di lavoro a uno stadio medio-avanzato della carriera (parliamo quindi di docente/ricercatore) significa di fatto solo l’offerta di uno stipendio (fra l’altro quasi mai negoziabile) e non include nel “pacchetto” un accordo sugli spazi di laboratorio (nel caso di ricerca sperimentale), né è lontanamente prevista una dotazione di fondi di base che possa garantire un minimo di sussistenza. Sorvolerò anche sul fatto che i meccanismi di finanziamento della ricerca in Italia sono quasi sempre intermittenti e con tempistiche (regolarità nelle emissioni dei bandi, erogazione effettiva dei finanziamenti, e così via) mai certe, il che rende le prospettive a medio-lungo termine sempre poco chiare e quindi fornisce un quadro poco appetibile.

Ritornando quindi alla nostra domanda di partenza, ci chiediamo innanzitutto se l’Italia sia generalmente in grado di formulare e pubblicizzare un’offerta di lavoro nel settore della ricerca in maniera tale da raggiungere agevolmente un ricercatore straniero. In particolare, quest’ultimo è posto nelle condizioni di poter comprendere facilmente i contenuti di un bando, e di poter prestare domanda senza dover ricorrere ad aiuti particolari? Qui sorgono numerosi dubbi. Sappiamo chiaramente che, a livello di bandi per un assegno di ricerca, o per un posto da ricercatore o da docente universitario, questi sono quasi sempre pochissimo pubblicizzati, raramente li si trova in inglese sul sito istituzionale che ha aperto il bando, né tantomeno su siti di ricerca di lavoro. Gli enti sono costretti a farlo solo se, nuovamente, legati a meccanismi di finanziamento transnazionale che impongono certe regole (per esempio la pubblicazione quantomeno sul sito Euraxess per le offerte di lavoro da finanziamenti europei). Conosciamo molto bene i bandi emessi dalla Gazzetta Ufficiale: questi bandi sono scritti in una maniera così intricata (con un preambolo di pagine e pagine di leggi e decreti), da risultare davvero indigesti. Con l’avvento dei social (fra tutti Linkedin e Twitter), i vari gruppi di ricerca possono facilmente diffondere la notizia di disponibilità di posti, ma questo è sempre il frutto di iniziative personali, spesso dei gruppi più attivi e con maggiore interesse a reclutare persone di valore. Presentare domanda poi è un’altra impresa.

Continua a leggere su Scienza in Rete

(Foto di Trust “Tru” Katsande on Unsplash)

Può funzionare ancora meglio

Il sistema trasfusionale italiano funziona grazie alle persone che ogni giorno scelgono di donare sangue, per il benessere di tutti. Vuoi essere una di quelle persone?

Si comincia da qui