Quasi tutti proviamo (o abbiamo provato) ribrezzo o paura per gli insetti. Magari solo quelli un certo tipo: ognuno ha il proprio “insetto insopportabile”, che provoca sensazioni tremende non appena avvistato o anche solo richiamato alla mente. Ma cosa c’è dietro a questa irrazionale tempesta di sensazioni di fronte ad animali quasi sempre innocui? Prova a spiegarlo la psicologa ed etologa Chiara Grasso, su Micron.

«Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più animali degli altri». Questa rivisitazione della celebre frase di George Orwell, tratta dal suo libro La fattoria degli animali, sintetizza perfettamente il rapporto che la maggior parte degli esseri umani occidentali ha con gli insetti, quegli esserini che vengono brutalmente soffocati con gas e pestati con piedi, o vengono schiacciati senza ritegno contro muri e porte.

Ma sono animali. Animali come il panda minore (Ailurus fulgens) che salvaguardiamo e proteggiamo o come il cane che dorme accanto al noi sul divano. Eppure, gli insetti creano crisi isteriche in molte persone e a tanti poco importa se muoiono e se ad ucciderli sono proprio gli essere umani. Perché?

Al di là dell’insensibilità di chi proprio se ne frega della sofferenza animale, in generale la distanza filogenetica che c’è tra noi e un Blattoideo è tale per cui l’empatia è minore rispetto a quella che si potrebbe provare per uno scimpanzé (Pan troglodytes). Niente di sconvolgente se pensiamo che anche l’attivazione neurale dei neuroni a specchio è maggiore per le specie di mammiferi rispetto alle altre classi di vertebrati. Figuriamoci nei confronti degli invertebrati!

Ma cosa succede dentro di noi? Perché quella paura e quel disgusto davanti ad un ragno (che per comodità annoveriamo nel discorso anche se la tassonomia non lo include tra gli insetti) da far svenire chi soffre di aracnofobia? A livello psicologico ed etologico Umano, la paura è qualcosa di fisiologico utile alla crescita, in quanto serve ad attivare reazioni che lo difendono dal pericolo. Paura del buio: non so cosa ci sarà, a livello limbico mi “ricorda” la paura di trovare un predatore dentro una caverna. Paura delle altezze: paura di cadere durante le battute di caccia.

Semplificando molto il concetto di reazione “attacco-fuga” e banalizzando quello di paura inconscia, questo è in sintesi quello a cui la paura serve: “Pericolo, pericolo! Fuggi, fermati o combatti”.

A livello inconscio si può affermare che ogni fobia ha anche una componente di repulsione e di attrazione inconsapevole verso l’oggetto temuto. La paura viene proiettata e introiettata su di un oggetto esterno, in modo da poterla controllare; in questo modo diventa circoscritta ed evitabile.

E gli insetti in questo cosa c’entrano? Non abbiamo paura solo degli insetti velenosi che mettono a rischio la nostra incolumità, anzi! Molte persone preferirebbero abbracciare un leone che tenere sul palmo della mano una cimice verde. Eppure il leone è un carnivoro, pericoloso e temuto. La cimice non ci fa assolutamente nulla.

Secondo alcuni psicologi, in genere la paura degli animali simboleggia la pulsionalità senza ragione. Si teme dunque il contatto con la propria emotività, che non si riesce a gestire, temendo dunque di perderne il controllo. La paura degli insetti, più nello specifico, secondo la psicologia dinamica sembra essere correlata alla paura degli schemi, delle sorprese e degli imprevisti. In genere chi soffre di entomofobia a livello patologico ha dimostrato avere tratti di personalità evitante e ha fortemente paura di essere giudicato.

Jeffrey Lockwood, entomologo e filosofo dell’Università del Wyoming, ha provato a rispondere a queste domande nel libro The Infested Mind: Why Humans Fear, Loathe, and Love Insects. A livello evoluzionistico, secondo il biologo, l’uomo non ha paura degli insetti: prova ribrezzo e disgusto che confonde con la paura. Si ipotizza che questo probabilmente sia collegato alla nostra storia evolutiva: nei cibi avariati e andati a male (quindi non più commestibili) si trovavano insetti volare o strisciare attorno. Gli insetti erano la prova più tangibile e visibile che un alimento non fosse più sano. A livello di innatismo, quindi, siamo probabilmente programmati ad allontanare i cibi circondati da insetti e quindi, di conseguenza, a respingerli. Insomma, insetto = cibo avariato. Cibo avariato = malessere, sofferenza e, in casi, estremi morte. Quindi insetto = morte.

In qualche modo gli insetti, a livello limbico ci “ricordano” che qualcosa, nell’ambiente in cui siamo, non va, non è sano. Gli insetti rappresentavano un ambiente sporco e pericoloso (proprio come i topi) e, quindi, da evitare. Inoltre, gli insetti sono stati, e sono tutt’ora, uno dei veicoli maggiori di malattie ed infezioni, per cui allontanarli ed evitarli è stato, per secoli, l’unico modo per proteggersi dalle epidemie. E oggi questa “programmazione” ci è rimasta. Non a tutti, fortunatamente, però.

La maggior parte degli insetti è tendenzialmente fuggente, vola e si nasconde e una delle caratteristiche proprie degli insetti è che sono piccoli e veloci e non sono quindi facilmente né catturabili né controllabili. Hanno comportamenti strani, alieni, rispetto a quelli dell’essere umano, e secondo gli etnologi e antropologi, nella programmazione alla sopravvivenza ciò che è troppo diverso, è pericoloso, poiché non è controllabile.

Ora però, che non ci scaldiamo più con il calore del fuoco, non viviamo nelle caverne e non cacciamo con lance di pietra, proviamo a vedere gli insetti sotto un altro punto di vista. Come animali degni di vivere proprio come i delfini e i gorilla. Animali che vivono nella Natura e sono parte indispensabile del nostro pianeta.

Senza gli insetti non ci sarebbe la vita, probabilmente. E per quanto il nostro richiamo freudiano al controllo ci accechi, proviamo a razionalizzare, la prossima volta che un piccolo scarafaggio ci fa visita in casa e invece di ucciderlo brutalmente proviamo ad osservarlo, a conoscerlo e quindi imparare ad accettarlo e se, giustamente, non lo vogliamo in cucina, proviamo a portarlo fuori in giardino. Anche il panda minore, in qualche parte del mondo ci ringrazierà!

(Foto di Boris Smokrovic su Unsplash)