Una persona che sceglie di farsi del male per dimostrare il proprio disagio è lo specchio di un Paese che non sa tutelare i propri cittadini. L’immagine più emblematica, quella dell’autocombustione come segno di protesta, risale al 1963 ed è ambientata a Saigon, dove il monaco buddhista Thich Quang Duc si diede fuoco per manifestare contro la campagna repressiva del governo vietnamita verso la sua religione. Questa pratica è utilizzata oggi dai tibetani (trenta casi dall’inizio del 2011), per richiamare l’attenzione sui soprusi del governo cinese nei confronti della regione. Nel giro di qualche giorno, l’Italia ha iniziato a somigliare a un piccolo angolino di Asia.
Il primo caso è di un imprenditore edile di 58 anni, che il 28 marzo si è dato fuoco davanti alla sede dell’Agenzia delle entrate di Bologna. L’uomo, che ora versa in condizioni gravissime, ha questioni pendenti col fisco per l’utilizzo di fatture false (non emesse da lui ma prodotte da altri), per le quali il suo legale ha patteggiato una condanna a cinque mesi e dieci giorni di reclusione. Nella disperazione di non poter garantire a sé e alla sua famiglia (la moglie era all’oscuro delle difficoltà economiche del marito) condizioni di vita dignitose, la disperazione ha avuto il sopravvento, producendo il gesto estremo.
«Seguiremo direttamente questa situazione per non creare ulteriori problemi -è il commento del direttore dell’Agenzia delle entrate, Attilio Befera-. Gli auguro di riprendersi presto. In una situazione di difficoltà economica e di crisi finanziaria, episodi come questi purtroppo possono accadere». Tempo fa avevamo denunciato il clima di tensione tra cittadini e Stato in merito alla pressione fiscale, soprattutto per quanto riguarda l’azione aggressiva di Equitalia nell’esazione di multe non pagate o riconteggi di vecchie dichiarazioni, con ricarico di interessi abnormi. Non sorprende quindi la precisazione del direttore quando dice che «chiediamo ai nostri dipendenti sempre il massimo rispetto nei confronti dei cittadini».
Il giorno seguente, un altro episodio si è verificato a Verona, dove un cittadino marocchino di 27 anni si è reso protagonista di un gesto simile in Piazza Bra, per denunciare il mancato pagamento dei suoi ultimi quattro stipendi da parte della cooperativa per cui dichiarava di lavorare (ma la questione è in fase di accertamento). Altro caso, stavolta di sciopero della fame, quello dell’imprenditrice Alexandra Bacchetta, 38 anni, di Varese, a cui l’alluvione del 2009 ha portato via l’albergo che gestiva. Da allora aspetta il rimborso dello Stato a compensazione dei danni della calamità naturale.
Esasperata dall’attesa, Alexandra ha iniziato la sua protesta lunedì 26 marzo, ma il 31 è stata ricoverata per un malore. Commoventi le sue parole: «Ho ancora fiducia nello Stato, ma sono stanca. Mi fu detto che avremmo avuto un indennizzo. I politici devono capire, siamo ancora in tanti a credere alle loro promesse, ma dopo vanno mantenute. Al ministero dell’Interno avevano anche il mio numero di telefono e mi dissero di avere pazienza, e io non ho mai voluto licenziare perché non volevo lasciare a casa della gente che ha i figli a carico». A chi muove i numeri dei conti pubblici chiediamo maggiore attenzione verso i problemi delle persone. Possono sembrare casi isolati, ma cosa succederà quando gli “esodati” dell’ultima riforma pensionistica si ritroveranno senza soldi perché privati di stipendio, pensione e (al momento) ammortizzatori sociali? Speriamo davvero non ci attenda un “futuro tibetano”.