Come abbiamo spiegato qualche tempo fa, il cosiddetto “reddito di cittadinanza” richiede dei requisiti molto stringenti, che rischiano di escludere una categoria di persone tra le più fragili e isolate: le persone senza dimora. La sociologa Caterina Cortese ha pubblicato un articolo su Welforum in cui spiega perché è complicato stabilire dei parametri trasversali nel tentativo di includere le persone senza dimora in una misura come il reddito di cittadinanza. Inoltre illustra quali sono i nodi del dibattito che associazioni come fio.PSD stanno provando a portare avanti con le istituzioni. Riprendiamo alcuni passaggi del suo articolo per provare a capire meglio.
I profili dei clochard
«Non è facile tracciare un profilo unico della persona senza dimora ma tutte le evidenze raccolte dai territori negli ultimi anni, siano esse di natura statistica (Indagini Istat del 2012 e 2015) o studi di settore (Osservatorio fio.PSD), ci dicono che siamo ben lontani dallo stereotipo del clochard che sceglie la vita in strada. Siamo di fronte piuttosto a storie di vite di lavoratori poveri, persone sfrattate, connazionali e migranti economici che lavorano nel settore dei servizi a bassa qualifica, come nell’agricoltura o nell’edilizia, persone che hanno subito traumi, perdite, frodi, che hanno forme di invalidità fisica o psichica e che, in assenza di una rete di sostegno familiare e di un sistema di tutele attrezzato a riconoscere i nuovi rischi sociali, iniziano un processo di scivolamento verso la povertà estrema dove disagio sociale e disagio abitativo si cumulano velocemente».
Criteri di selezione inadeguati
«Solo il 10 per cento riceve sussidi del comune e di altri enti pubblici. Un dato, quest’ultimo, che ci fa riflettere sul fatto che per queste persone l’accesso al welfare tradizionale è già molto difficile. Replicare meccanismi di accesso stringenti, non li farà svanire dalle nostre strade ma li alienerà ulteriormente aggravando la loro condizione. Le storie sociali, le biografie lavorative ed economiche di queste persone infatti, per chi ha la volontà di ascoltarle, sono assai complesse e incardinarle in un sistema di tutela dal disagio costruito su altre categorie non è sempre facile. Qualcuno riesce a percepire una disoccupazione, qualcuno è in attesa da anni di casa popolare, qualcuno aspetta il riconoscimento dell’invalidità, qualcuno è inserito in programmi di inserimento socio-lavorativo a sei mesi con rimborso spese. Se consideriamo infine che la vita in strada ti costringe a risolvere problemi di sopravvivenza che lasciano poco tempo alla progettualità e che la vita in strada produce isolamento e sfiducia con un rischio evidente di perdere i diritti sociali, civili, umani e politici garantiti dalla Costituzione, si può meglio comprendere la deriva a cui sono destinate molte persone».
Domande
«Quanto conta aver perso il lavoro, la casa e vivere in strada da più di due anni per rientrare tra i poveri meritevoli? Quanto contano i requisiti formali ed economici che riesci a certificare, piuttosto che i segni evidenti del tempo trascorso in strada, la concreta assenza di mezzi e gli effetti preoccupanti che la povertà genera nelle persone e nelle nostre civilissime città?».
Residenza
«Molte persone senza dimora non possiedono la residenza anagrafica o la perdono facilmente a causa degli eventi che li hanno portati a vivere in strada. Alcuni ottengono la residenza fittizia dopo una lunga attesa e, se non governato attentamente, questa meccanismo lascia adito a casi di cancellazione per irreperibilità. A fronte di queste difficoltà, si potrebbe dimostrare, con attestato di presa in carico rilasciato da ente pubblico, la presenza continuativa di due anni della persona senza dimora nella città in cui si fa richiesta di RdC. Al contempo si può offrire opportunità di eleggere il proprio domicilio nel comune in cui la persona si trova in caso di sfratto o di perdita della residenza durante il godimento del beneficio».
Accesso
«In materia di accesso come si diceva sopra, bisogna necessariamente investire in un rafforzamento della infrastruttura sociale dei territori che garantisca un accesso prioritario alle prestazioni del sistema integrato di interventi e servizi sociali proprio ai soggetti in condizioni di povertà estrema. In questo caso la presa in carico professionale sarebbe utile per superare alcuni vincoli normativi e a riconoscere alle persone senza dimora sia il beneficio economico che il sostegno ai costi dell’abitare; quest’ultimo pensato strategicamente come “dote abitativa” da destinare a futura locazione».
Welfare territoriale integrato
«Molte delle persone senza dimora non sono occupabili nell’ordinario mercato del lavoro, ma necessitano di percorsi specifici di sostegno per l’inserimento sociale o, in sempre più casi, di percorsi di cura socio-sanitaria per condizioni di salute gravi. In questo caso avere una regia regionale, riconoscere e investire nel ruolo dei servizi sociali e sanitari dei comuni e degli ambiti territoriali per intercettare e accompagnare i potenziali beneficiari del RdC tra le persone senza dimora attraverso percorsi di welfare integrato che costruisca risposte differenziate e che faccia ponte tra i servizi al lavoro, alla casa, alla salute e all’inclusione sociale, è quanto mai necessario».
(Foto di John Moeses Bauan su Unsplash)