di Stefano Morelli
Per quel che mi riguarda, il discorso è molto vecchio. Lo ripeto da anni a tutti quelli che s’intestardiscono con me a parlare di politica. Perché la politica, per me, è lettera morta: una noia tremenda. Sia inteso: la politica che vivo e che, fino a oggi, ho vissuto. Perché voto da 17 anni e da 17 anni c’è sempre la stessa gente che mi dice che farà e che non farà. Perché da 17 anni sento sempre le stesse vacue parole che escono dalle solite bocche e, per tanto, quando si parla di politica, mi annoio. Una noia tremenda. Non so, provate voi a parlare per cinque minuti (non 17 anni) dello stesso argomento senza fare un passo avanti, ma nemmeno indietro, nello sviluppo dell’argomento. Come si direbbe in maniera un po’ balorda, du’ palle! Ergo, cerco sempre di sviare l’argomento cercando di portare la discussione sui binari della letteratura piuttosto che del cinema oppure ancora della musica e via così. Politica, vade retro! Nel corso degli anni, però, qualcuno che s’impunta e, diamine, vuole discettare con me del meraviglioso mondo della politica italiana intestardendosi non poco l’ho trovato e lo trovo ancora. E, come dicevo in apertura, il discorso per quanto mi riguarda è molto vecchio. Ma dato che dai titoli dei giornali delle ultime settimane evinco che ci si sta accorgendo (prenderne coscienza sarebbe troppo, ma le cose si fanno un passo alla volta) di un concetto espresso molto tempo fa da un uomo che tutti noi dovremmo ringraziare ogni giorno per la sua opera, ma anche per la sua proverbiale lucidità, ecco, dato che finalmente anche l’intellighenzia nostrana si è accorta di quello che sta accadendo, sono pronto a disquisire pubblicamente il mio stantio argomentare l’italica politica.
Essendo una “piccola esegesi di un Paese morente” nessuno si attenda un finale speranzoso. Niente di più erroneo. Sempre, per quanto mi riguarda, naturalmente. Durante un’intervista rilasciata a una giornalista francese (vado a memoria, magari era durante un convegno universitario), il giudice Giovanni Falcone disse che «la mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un inizio, una sua evoluzione e una fine». All’osservazione (ripeto, della giornalista o di qualche studente, non ricordo) se questo poteva non avvenire se la mafia si faceva Stato, nel senso di forma politica di governo, il giudice Falcone sorrise e rispose che era impossibile perché «la mafia è anti-Stato e deve convivere con uno Stato per poter sopravvivere. Non esiste qualcosa anti se non esiste il qualcosa per cui essere anti. Se la mafia diventasse Stato, sarebbe la fine dello Stato e, dunque, anche dell’anti-Stato». Un concetto talmente semplice che nessuno, se non in questi giorni e nemmeno troppo seriamente, ha mai pensato di prendere scientemente in considerazione. Intanto, tra i tanti, alcuni fatti: il ministro Saverio Romano è indagato per associazione mafiosa. Il senatore Marcello Dell’Utri è stato condannato a sette anni di reclusione in appello per associazione mafiosa. L’onorevole già presidente della regione Sicilia, Totò Cuffaro è in carcere dove sta scontando sei anni di reclusione per associazione mafiosa. Il sottosegretario Nicola Cosentino è in attesa di varcare le patrie galere (non appena saranno sciolte le camere del Parlamento) perché indagato per associazione camorristica. Il presidente del Senato, Renato Schifani, è indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. Chiedo scusa a tutti i politici che non ho citato. Ora, sia inteso, nessuno mi ribatta che, fino a condanna definitiva (come per Cuffaro) per tutti vale la presunzione d’innocenza. Non sto parlando di questo. Sto facendo una piccola esegesi di un Paese morente. E basta.
Poi: il linguaggio. I media, soprattutto i giornali, stanno sprecando analisi di illustri politologi sull’utilizzo di un linguaggio propriamente mafioso da parte della nostra classe politica. Alcuni esempi, solo degli ultimi giorni. Marco Milanese, sulla richiesta di autorizzazione a procedere presentata alla Camera nei suoi confronti ha detto: «Se salto io, salta tutto». Idem, il ministro Romano. Idem il leader della Lega, Umberto Bossi. Idem, il senatore Alberto Tedesco. Insomma, chi più ne ha più ne metta. Considerazione da non sottovalutare: il nostro Paese come sta? Bene? Non direi. E da quanto tempo non sta bene? Da ieri? Non direi. E da quanto tempo la sua democrazia non sta bene? Da ieri? Non direi. E la sua economia come sta? È solida come una roccia, forse? Non direi. E da quanto tempo è deboluccia? Da ieri? Non direi. Ognuno la veda come vuole, ma alla fine dei conti due più due fa sempre quattro. Anche se ci dicono il contrario. Buona catastrofe.