Di recente abbiamo sollevato la questione dei requisiti minimi per l’accreditamento alla trasfusione di sangue. L’articolo, verso la conclusione, riportava questa frase: «Inoltre, il passaggio permetterà di “certificare” il sangue donato tramite Avis presso le aziende di plasmaproduzione, contribuendo così in maniera determinante all’autosufficienza di emoderivati, e andando inoltre ad alimentare un processo remunerativo per il Sistema sanitario nazionale (Ssn)».
Proviamo a spiegare meglio la situazione dei plasmaderivati in Italia, anche appoggiandoci a un articolo pubblicato su Dono&Vita di marzo. Nel nostro Paese, nel corso degli anni, sta aumentando la quantità di plasma donato. Una volta raccolto, questo è avviato a processi di lavorazione industriale, da cui si ricavano diversi farmaci, in particolare i fattori procoagulanti. L’obiettivo dell’autosufficienza in tutti questi prodotti implica il fatto di produrre un eccesso di quei farmaci che hanno un consumo relativo minore. Ecco quindi che si presenta il problema della gestione delle eccedenze.
Che fare di questi farmaci? Venderli all’industria farmaceutica (ma la legge lo vieta) per ottenerne un vantaggio economico, innescando così una deriva produttivistica della donazione di sangue, che ne snaturerebbe la gratuità? Questa la linea sostenuta, tra l’altro, da alcuni medici trasfusionisti, che vedrebbero così migliorare le proprie remunerazioni, premiate dagli indici di produttività. Riteniamo, ovviamente, non possa essere la linea di Avis.
Un freno all’utilizzo efficiente di queste risorse è dato dal fatto che ogni regione gestisce il proprio sistema sanitario, e non sono possibili, al momento, scambi di risorse che compensino reciproche carenze ed eccedenze di plasmaderivati, come invece avviene per gli emocomponenti. L’effetto di tale lacuna normativa è che ci sono regioni con stock di farmaci che giacciono nei magazzini, esposti al pericolo che, a lungo andare, possano scadere; mentre altre sono costrette ad acquistare all’estero i farmaci che non riescono a produrre.
Una situazione che dà da pensare, e alimenta il forte sospetto che, se ancora non è stata elaborata una legge in merito, forse è perché si vogliono tutelare gli interessi di qualcuno, ossia i produttori di farmaci, che così hanno la possibilità di occupare una fetta di mercato che il Ssn potrebbe gestire autonomamente. Tutto ciò ha l’effetto di far incrementare notevolmente il costo dei farmaci per le persone che ne hanno bisogno, vanificando così il gesto del donatore e non offrendo al malato la cura che un servizio pubblico dovrebbe garantire gratuitamente, o comunque al minor costo possibile.
Il nodo va sciolto, e in fretta, perché il 19 gennaio la Conferenza Stato-Regioni ha emanato quattro decreti che, una volta convertiti in legge, segneranno il punto d’inizio di un percorso che condurrà alle nuove gare europee per la lavorazione del plasma italiano. Un itinerario che incrocerà quello dei requisiti minimi per la raccolta di sangue, frutto dell’accordo Stato-Regioni (non ancora recepito da Lombardia e Lazio), che pone come termine per l’accreditamento il 31 dicembre 2014.
Le occasioni per confrontarsi su questioni di questo calibro, da cui dipende il futuro dell’Avis, ma soprattutto il diritto alla tutela della salute di ogni cittadino, sono le assemblee. Ecco perché ci aspettiamo proposte, idee e notizie in merito durante la 76esima assemblea nazionale di Avis, che si terrà dal 25 al 27 maggio. Ci attende un triennio assai impegnativo, e vogliamo capire quali sono le idee in campo e quali le persone che si impegnano a concretizzarle.