Non si vede la fine del tunnel in cui l’Italia è entrata da qualche anno in qua. I partiti in campo si confrontano su condizioni e veti incrociati che hanno del ridicolo, se confrontati con la situazione economica e finanziaria del Paese. Le priorità sono altre, e chissà se i “saggi” chiamati dal presidente Giorgio Napolitano saranno in grado di vederle e occuparsene (ci auguriamo che quest’ultimo abbia dato ai gruppi di lavoro delle linee guida precise in merito, ammesso che poi si arrivi ad azioni concrete). Ci sono due nodi fondamentali da sciogliere, e vanno affrontati contemporaneamente. Da una parte il pagamento del debito della pubblica amministrazione verso le imprese. Se ne sta parlando in questi giorni e il governo in carica sembra avere un decreto pronto che dovrebbe essere presentato già questa settimana. Resta senza risposta il dubbio espresso da Giuseppe Guerini, presidente di Federsolidarietà, che alcuni giorni fa dichiarava: «non capisco perché il ministro dell’Economia Vittorio Grilli si sia affrettato a chiedere un decreto d’urgenza, che eventualmente servirà per modificare il patto di stabilità. Per sbloccare i pagamenti sarebbe sufficiente una circolare che dica ai comuni -molti dei quali hanno i fondi già in cassa- di liquidare i pagamenti che hanno già contabilizzato». Insomma, il pagamento dei debiti non dovrebbe richiedere provvedimenti ad hoc da parte del governo, essendo prassi comune (in teoria) pagare il dovuto.

Al contempo (e siamo al secondo nodo), è urgente intervenire sulla spesa pubblica, perché non possiamo più permetterci le enormi inefficienze delle nostre istituzioni ed enti pubblici (o a partecipazione pubblica). La Sicilia ci ha messo pochi mesi a passare dalle parole ai fatti, cancellando le province con una legge regionale pubblicata in Gazzetta ufficiale il 29 marzo. Per il resto del Paese siamo ancora in attesa di provvedimenti seri. Secondo i dati pubblicati un anno fa, circa sessanta ruoli apicali della pubblica amministrazione prevedono uno stipendio che supera i 294mila euro. È possibile che in un Paese in crisi profonda il capo della polizia guadagni più del doppio del presidente degli Stati Uniti d’America (621.253 euro contro circa 300mila)?

Non sono solo le scelte interne a penalizzarci, ma anche il ruolo subalterno che abbiamo in l’Europa non ci aiuta. Un’Europa verso cui abbiamo molti obblighi, ma che poi non ci tutela con una politica fiscale comune, per cui i capitali viaggiano dove il trattamento è più favorevole, e il nostro territorio perde presidi di importanti aziende. In questo senso è valida la considerazione espressa da Alberto Quadrio Curzio sul Sole 24 Ore il 30 marzo: «Fino al luglio 2012 Monti assolse bene molte delle richieste europee, rimettendo i tassi di interesse dei nostri titoli di Stato su un sentiero di discesa che poi fu assai accentuato dalla Bce. Da agosto, Monti purtroppo ha scelto di continuare a fare troppi “compiti a casa”, forse per diventare “il primo della classe in Europa”, tralasciando le emergenze dell’economia reale e perseguendo un rigore che ha danneggiato la crescita». Armonizzazione fiscale è la parola d’ordine che il governo italiano (prima o poi capiremo quale) deve portare all’Ue, per «far saltare i paradisi fiscali», come scriveva Xavier Vidal-Folch su El Paìs il 28 marzo: «Bisogna varare una grande armonizzazione fiscale che completi la parte dedicata alle entrate nel Trattato fiscale, il cui obiettivo è il controllo delle spese. La strategia consiste dunque nell’armonizzare i tipi di imposta e le basi imponibili per ciò che concerne le tasse sul capitale, ma anche nel predisporre tranche più piccole per le imposte sul reddito, eliminando le eccezioni al versamento dell’iva, unificando verso l’alto l’imposta sulle società, tassando i beni accumulati nei limbi fiscali dalle società commerciali straniere e imponendo una tassa progressiva sulle transazioni finanziarie. Queste trasformazioni non saranno facili. Nell’ambito dell’Ue, gli accordi fiscali necessitano dell’unanimità. Coloro che approfittano dei limbi fiscali e tutti i loro amici hanno diritto di veto. E per il momento, naturalmente, se ne servono. Cerchiamo allora di far saltare in aria anche questo potere di veto».