Chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo. Ma soprattutto, per andare, usiamo il ponte o prendiamo il traghetto? Quella del Ponte sullo stretto (una volta era lo stretto di Messina, oggi non serve neanche più dirlo) è una storia tutta italiana. E ogni tanto fa bene (si fa per dire) portare l’attenzione da quelle parti, per ricordarci di come, nonostante il rigore imposto dal governo “tecnico”, siamo ancora bravi a sperperare tanto denaro pubblico.
In questi giorni è stato pubblicato il progetto definitivo (ancora una volta, si fa per dire) dell’opera, e Guido Signorino ne ha analizzato e spiegato le caratteristiche per lavoce.info. In sintesi, il docente universitario conclude che «date le carenze e insufficienze del suo contenuto, il progetto “definitivo” non sembra poter essere accreditato come tale e la conclusione di tale attività di scrutinio non può che consistere nella sua bocciatura». Rimandato al prossimo appello, in sostanza. Peccato che il prezzo da pagare tra un passaggio e l’altro di questa pachidermica impresa sia molto alto, e che a finanziare siano, come sempre, “mamma e papà”, ossia i cittadini.
Le motivazioni della stroncatura sono molteplici, e le leggiamo direttamente dalle parole di Signorino: «Manca la progettazione dello scalo ferroviario sul lato-Sicilia, non si contempla il raccordo con la rete ferroviaria sul lato-Calabria e non si prevede il raddoppio della carreggiata per il collegamento tra rete autostradale siciliana e ponte. […] Ancor più gravi le carenze di indagine sismica. La “Relazione geologica generale” afferma che “per descrivere le strutture tettoniche presenti nello Stretto” ci si è basati “sui dati del progetto preliminare”, concludendo che “in sede di progetto esecutivo sarebbe auspicabile che si aggiornassero i profili sismici del progetto preliminare ed acquisire dati aggiornati delle aree marine”. Può un progetto “definitivo” rinviare alla fase esecutiva l’approfondimento delle strutture tettoniche di una zona tra le più sismiche al mondo? […]
Sotto il profilo economico, non viene allegato il piano finanziario (cui viene negato accesso) e il progetto non contiene alcun elemento realmente conducente per una sua valutazione. Non si ha traccia di analisi costi-benefici e l’analisi multicriteriale si riduce a una inconcludente tautologia che confronta il progetto definitivo non già con lo stato di fatto, ma con il progetto preliminare, rispetto al quale non può che registrare i miglioramenti intervenuti. Il modello trasportistico implementato sconfessa l’impostazione del progetto preliminare. Dopo aver descritto il costante calo di passeggeri in attraversamento sullo Stretto di Messina negli ultimi quindici anni, questo dato viene del tutto trascurato nell’analisi di previsione. Quanto alla brusca variazione delle preferenze modali (cioè quante persone si prevede preferiranno il trasporto su gomma e su rotaia a quello aereo, a lavori ultimati, ndr) determinata dal ponte, la base di tale previsione è ottenuta da una campagna di indagine sui residenti di Sicilia e Calabria che si è avvalsa in prevalenza della somministrazione di questionari in modalità Cati (un computer che chiama l’intervistato al telefono, ndr)».
Questo per dare un’idea, ma vi invitiamo a leggere con attenzione l’intero articolo per approfondire altri interessanti aspetti. E per andare ancora più a fondo (a picco?) nella questione consigliamo un altro articolo, pubblicato da Linkiesta il 30 gennaio. Nel pezzo si toccano prevalentemente le questioni economico-finanziarie dell’operazione, tra cantieri aperti, soldi che finiscono e mutui che si accendono, con interessi a carico dello Stato. Nel frattempo, «Il costo già sostenuto dai contribuenti per il Ponte (tra progetti, monitoraggi, studi preliminari) è stato valutato in quattrocento milioni. E sono state avviate anche le procedure di esproprio».