Toccherà alla Corte costituzionale decidere le sorti della legge elettorale in vigore, il cosiddetto “Porcellum”. Doveva riunirsi ieri la Consulta, per iniziare la discussione in merito al questione di costituzionalità rinviatale dalla Corte di cassazione (la questione era stata sollevata inizialmente dall’avvocato Aldo Bozzi nell’autunno del 2009). La seduta è stata invece posticipata al 14 gennaio, quindi nessuna fumata, nera o bianca, da parte del consesso dei giudici. Resta piuttosto grave che in Italia si sia costretti a rinviare a un organo dal profilo tecnico (per quanto disponga di ampi margini di discrezionalità dati dall’interpretazione delle norme) la soluzione di una questione aperta dalla politica ormai otto anni fa con l’approvazione della legge firmata da Roberto Calderoli. Sarebbe l’Aula del Parlamento a doversi occupare della questione, visto che tale norma ha già dimostrato tutti i propri limiti, determinando la precarietà del governo del Paese in alcune tornate elettorali ed eliminando la possibilità di eleggere direttamente un candidato, imponendo invece una scelta esclusivamente di partito o di lista.

Tutti l’hanno criticata (compreso chi l’ha firmata), il Presidente della Repubblica ha inviato numerosi messaggi (durante il primo e secondo mandato) al Parlamento affinché se ne occupasse, eppure siamo ancora fermi lì. L’ultimo ordine del giorno annullato è stato lunedì: «Si doveva votare sulla proposta della Lega -scrive il Fatto Quotidiano-, che prevede il ritorno al Mattarellum (con correttivi), e su quella di Cinque Stelle, che vuole un modello spagnolo-elvetico (collegi di dimensioni limitate e preferenze). Ma la riunione delle 20 è stata cancellata nel pomeriggio e rinviata a dopo l’otto dicembre, post primarie. Per il capogruppo dem Luigi Zanda “la formazione di nuovi gruppi nel centrodestra e il congresso del Pd ora non consentono un dibattito costruttivo”». Nessuno è senza peccato in questa serie di rinvii che da anni trascina in avanti il momento in cui decidere cosa fare e come (con l’eccezione in realtà dei Cinque stelle, che in Parlamento non c’erano quando il testo è stato licenziato, e che non hanno mai smesso di porre l’accento sull’urgenza di intervenire sul tema).

Come si sa, i due temi più contestati riguardano il premio di maggioranza e le liste bloccate. Di che si tratta lo spiega in maniera semplice e chiara il Post, e vi consigliamo di andarlo a leggere qui. Oltre alla questione di opportunità politica sul fatto che sia la Consulta e non in Parlamento a decidere, il docente e membro della commissione di “saggi” sulle riforme del governo Letta, Vincenzo Lippolis, esprime le proprie perplessità sulle conseguenze che tale misura potrebbe avere: «Qualora la Corte ritenesse la questione ammissibile, sorgerebbe il problema di quali sono i limiti entro cui può decidere. Può solo eliminare il premio di maggioranza? Così si tornerebbe a una legge puramente proporzionale. Se invece la Consulta ritenesse che il premio sia elemento essenziale della legge, questa verrebbe annullata interamente. E in questo caso, la questione sarebbe se far rivivere o meno la precedente legge elettorale, il Mattarellum. In linguaggio tecnico si parla di reviviscenza». E ancora, se fosse dichiarato incostituzionale il Porcellum, che si dovrebbe fare delle attuali Camere? Se un organo istituzionale sancisce che si sono formate attraverso un meccanismo di voto illegittimo, avrebbero ancora diritto di restare in carica? E se si andasse al voto, con quale legge? Il Mattarellum o un’altra ancora da votare (da parte di chi?). Il discorso si avvolge su se stesso e alla fine, anche solo per questioni di equilibrio, non sta in piedi.