Che cos’è il potere? Come si gestisce, come si mantiene, come si abbandona? Da sempre l’uomo si interroga in proposito, elaborando modelli e analizzando i tentativi della Storia. Comunque la si guardi, a un certo punto emerge la contrapposizione tra una gestione collettiva e personale del potere. La democrazia rappresentativa, per come la conosciamo negli ultimi decenni, cerca di mediare tra le due dimensioni. Che convivono fin dalla sua definizione: democrazia prevede che sia il popolo a decidere, ma attraverso dei rappresentanti. È dunque un sistema di governo elitario (usiamo questo termine nel suo senso più neutro, a differenza dell’accezione negativa che ultimamente ha acquisito), in cui il potere si concentra nelle mani di poche persone, le cui facoltà sono limitate da un sistema di pesi e contrappesi rispetto alle altre cariche. Un altro elemento essenziale del sistema democratico è la temporaneità degli incarichi. Se anche un rappresentante sale al potere seguendo le normali procedure democratiche, ci devono essere dei limiti alla durata del suo mandato. Se tutto va bene questo si esaurirà naturalmente, e potrà essere prolungato, ma non all’infinito. Se le cose non vanno, devono esserci dei sistemi che permettano di destituire il capo, o dev’essere lui stesso a fare un passo indietro e lasciare ad altri il compito. Altrimenti non è più un rappresentante, ma un despota.
Ci sono situazioni nel mondo in cui manca un sistema che limiti il numero di mandati (o quando c’è può essere facilmente aggirato), come avviene in Russia o in Cina. Altre volte, come avvenuto di recente in Slovacchia o in Armenia, è stata la popolazione a chiedere le dimissioni del primo ministro. Nel primo caso, il premier ha però affidato il suo posto a un fidato collaboratore, sancendo così un cambiamento solo di facciata. Nel secondo caso le dimissioni sono arrivate inaspettate e le elezioni hanno portato al potere l’opposizione.
Nel riflettere su questi argomenti, è sempre utile una rilettura dei classici. Nell’Antigone di Sofocle, c’è una conversazione esemplare tra il tiranno Creonte e suo figlio, il giovane Èmone:
Creonte: Mi dirà la città, secondo te, quel che io devo decidere?
Èmone: Ecco: parli anche tu come un ragazzo.
Cr: Come governo questa terra, io? Chi deve governarla, se non io?
Em: Non è città quella di un solo uomo.
Cr: È di chi la governa, una città. Questa è norma comune.
Em: Che bravo re saresti, se regnassi da solo su un deserto.
Sofocle mette in bocca a un ragazzo parole di grande saggezza, che arriveranno a mettere in crisi Creonte e la sua sicurezza nell’esercizio del potere.
Ma in apertura abbiamo solo accennato al concetto di potere e alle sue molte sfaccettature. Il modo di intenderlo indica il modo in cui sarà esercitato, e viceversa. Ci viene in aiuto un testo di Ivano Dionigi, latinista ed ex rettore dell’Università di Bologna, contenuto in un volume distribuito nel corso di una serie di incontri sul tema che si stanno svolgendo nel capoluogo emiliano (il libro si può scaricare qui). «Due i termini con cui i Greci preferibilmente indicavano il potere: il positivo arché, che rinvia al significato originario di “principio, fondamento”, indica spesso la “carica” legittimamente esercitata e dà luogo a parole composte come monarchia e oligarchia, “potere o governo di uno o di pochi”; e il negativo kratos, “dominio”, che richiama l’originario “forza”, indica non solo e non tanto il “potere di qualcuno” quanto il “potere su qualcuno”, e pertanto inclina al significato di “sopraffazione, stra-potere”: per questo “democrazia”, vale a dire “superiorità (kratos) del popolo (demos)”, sarà sentito come negativo e volentieri sostituito da isonomia, “uguaglianza di diritti e di doveri”.
Il latino, in corrispondenza a una vita istituzionale più articolata, conosce un lessico più ricco e variegato: auctoritas, “autorità, credito di cui una persona gode”; potestas, “sovranità e padronanza legalmente conferita su qualcuno”; potentia, “potere politico”, ad esempio singularis, “potere monarchico”, o paucorum, “oligarchico”; dominatio e dominatus, “potere assoluto di uno solo, potere tirannico”; imperium, “potere sovrano civile e militare” che consente qualsiasi decisione di utilità pubblica anche al di fuori delle leggi; da un determinato periodo Imperium indicherà l’estensione geografica e la forma politica dell’Impero Romano. Per secoli ci si è chiesti se il potere ha la sua genesi nelle mani di uno, di pochi o di molti; nella legge (nomos) o nella natura (physis); nella forza o nel diritto; nella ragione umana o divina; nella politica o nell’economia. Noi oggi non possiamo che aggiornare quelle domande: il potere sta negli arsenali di armi? nel mercato? a Wall Street? nella finanza? in Internet?».
(Foto di Nikos Niotis su flickr)