Il verbo sanare dovrebbe identificare un’azione positiva. Rendere sano, quindi mettere a posto, in buono stato. Di conseguenza, anche il termine sanatoria dovrebbe avere la stessa accezione. Chissà perché invece in Italia non viene in mente niente di buono a sentire questa parola. Qui da noi non si attua infatti una sanatoria per mettere a posto una situazione, ma per fare in modo che situazioni di squilibrio e ingiustizia causate da un comportamento sbagliato dello Stato (o da un suo mancato controllo) siano riportate alla legalità con una scorciatoia normativa.
Prendiamo la questione della stabilizzazione dei precari della pubblica amministrazione. Da tempo è in atto una serie di assunzioni a tempo determinato in impieghi pubblici, per i quali ora siamo giunti a una soglia critica di diverse decine di migliaia di lavoratori a termine -e quindi precari- impiegati in mansioni che necessitano di erogazione continua. «Gli ultimi numeri disponibili e certi risalgono al 31 dicembre del 2011 -scrive La Stampa– e provengono dalla Ragioneria generale dello Stato. In base a questi dati il totale dei precari ammonta a 251.106 unità, circa 50mila in meno dell’anno precedente. Di questi, tuttavia, 133.932 sono i precari della scuola ai quali questo decreto del governo non si applica, in quanto le assunzioni in questo comparto sono regolate da graduatorie e modalità differenti. Ad essere toccati dalle misure varate ieri sono, quindi, 118mila lavoratori».
Già il fatto che il provvedimento riguardi alcune categorie di lavoratori e non altre crea degli squilibri. Dopo tre anni di lavoro a tempo determinato, i lavoratori precari interessati dalla norma potranno accedere a concorsi per l’assunzione a loro riservati, in modo che, gradualmente, giungano all’assunzione a tempo indeterminato circa 150mila lavoratori. Come sempre si tratta di provvedimenti a corto raggio, che mirano a riportare alla normalità una situazione che normale non è, ma senza essere inseriti in un progetto di lungo periodo. «Il ministro [alla Pubblica amministrazione Gianpiero D’Alia] ieri ha spiegato che all’interno della pubblica amministrazione, d’ora in avanti, esisterà una sola formula di inquadramento contrattuale, quella a tempo indeterminato a cui si accederà per concorso. Tutte le altre formule -a tempo determinato, interinale, eccetera- saranno praticabili solo eccezionalmente e per esigenze assai circostanziate. E, ovviamente, dovranno durare lo stretto indispensabile. I dirigenti che non si atterranno a questo criterio ne risponderanno di persona».
Parole che pongono le basi per la reiterazione della situazione attuale nel giro di qualche anno, quando ci ritroveremo punto e a capo con un altro governo invischiato nella necessità di stabilizzare (sanare) le distorsioni introdotte dalle eccezioni che pian piano diventano sempre la norma in questo Paese. Sul fatto che i dirigenti possano rispondere personalmente per il mancato rispetto di queste indicazioni abbiamo qualche dubbio, visto che nei giorni scorsi la Corte costituzionale ha bocciato quasi per intero la norma sul fallimento politico, sulla cui introduzione ci eravamo spesi anche noi più di due anni fa. La pronuncia della Corte dichiara illegittime molte parti della norma del 2011, in quanto essa prevede controlli e sanzioni sui dirigenti regionali in contrasto con i principi della Costituzione.
Anche qui, una norma che andava in una direzione giusta è stata redatta evidentemente per dare un segnale all’elettorato più che per istituire un sistema di controllo di gestione degli organi pubblici locali. Se fosse stata scritta con migliori intenzioni (o forse solo con maggiori competenze?) e all’interno di una manovra più articolata, oggi avremmo uno strumento per responsabilizzare i manager pubblici, di fronte alla possibilità di essere estromessi dalla politica per manifesta incapacità di gestione. Se l’intenzione per il futuro, come sembra dalle parole del ministro, va in questa direzione, perché non elaborare ora uno strumento che possa far decadere immediatamente i dirigenti pubblici responsabili di questa proliferazione di contratti a tempo determinato? Se siamo a dover sanare è evidente che la loro gestione non è stata poi tanto sana.