mukwege
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Il ginecologo congolese Denis Mukwege ha vinto il premio Sakharov, assegnato ogni anno dal Parlamento europeo per premiare la libertà di espressione. Dietro al volto rassicurante del medico africano si nasconde una quotidianità drammatica, che l’ha portato negli ultimi sedici anni a intervenire con la sua équipe medica su circa 40mila donne vittime di abusi sessuali. Da molti anni Mukwege denuncia il silenzio della comunità internazionale sulla tragedia congolese, dove a suo dire la violenza sessuale è utilizzata come arma di guerra e dove gli aiuti si sono limitati finora all’invio di farmaci. Nel frattempo, egli continua la sua attività di assistenza nella struttura ospedaliera che ha contribuito a fondare, nel quartiere Panzi di Bukavu, città che si trova sulle rive del lago Kivu, nella Repubblica Democratica del Congo (Rdc). Un lavoro, il suo, che ovviamente deve scontare l’ostilità delle forze in gioco nel conflitto congolese, che vedono in lui un tentativo di indebolire le loro strategie di terrore e distruzione.

Le donne non solo vengono violentate, ma i loro organi sessuali sono danneggiati in modo che non possano più dare alla luce altri figli, oltre a infliggere loro continue sofferenze. In più, i figli nati dagli stupri spesso non sono riconosciuti dalle madri, e si trovano così costretti a una vita ai margini, con alte probabilità di diventare bambini soldato. Tali violenze contribuiscono inoltre alla diffusione di malattie veneree, come l’Aids, che diventa così un’“arma a lunga gittata” (temporale) per le milizie. Ecco perché il dottor Mukwege è stato definito da una giornalista belga (che gli ha dedicato una biografia) “l’uomo che ripara le donne”. Il suo lavoro, assieme a quello del suo staff, è infatti quello di restituire alle donne che arrivano nella struttura in cui lavora (dopo aver salvato loro la vita) la funzionalità degli organi sessuali, in modo da strapparle all’oscuro futuro che le aspetterebbe.

Una missione che gli stava per costare caro, visto che il 25 ottobre 2012 è scampato a un attentato nella sua abitazione. Un evento che l’ha portato a un periodo di esilio forzato in Europa, dove nei tre mesi passati tra la Svezia e il Belgio non ha perso occasione di sedersi ai tavoli più importanti e intervenire per denunciare la strage in atto nel suo Paese. È rimasto impresso nella mente di molti il suo intervento all’Onu nel 2012, in cui il medico iniziava dicendo: «Vorrei iniziare il mio discorso con la formula di rito: ho l’onore e il privilegio di parlare davanti a voi». Salvo poi interrompersi, per continuare così: «Ahimé, le donne vittime di violenza sessuale nella Repubblica Democratica del Congo sono disonorate. Vedo costantemente con i miei occhi le anziane, le giovani, le madri, e persino le bambine disonorate. Ancora oggi, molte sono schiave sessuali. Altre sono usate come armi di guerra. I loro organi subiscono i trattamenti più aberranti. E questo è successo per 16 anni! 16 anni di tortura, 16 anni di mutilazione, 16 anni di distruzione delle donne, l’unica risorsa vitale del Congo. 16 anni di distruzione di un’intera società».

Nonostante la sua attività di informazione, ciò che ha ottenuto Mukwege sono stati soprattutto premi e riconoscimenti personali, ma la situazione nella zona orientale della Rdc resta gravissima. «Come si può pensare di tradire i traguardi della civiltà a tal punto da restare inerti e con le mani in mano?», si chiedeva il dottore in un intervento pubblicato a inizio 2013 su Internazionale. «Ci sono centinaia di prove – prosegue l’articolo –, foto e testimonianze, ma non è stato fatto nulla. “Non si potrà dire, come accaduto in altri momenti bui della storia, che la comunità internazionale non sapeva. Loro sanno tutto”. Ma allora perché non agiscono? “Per loro è normale che la donna soffra. Come se fosse nella sua natura, come se lo stupro di migliaia di donne fosse meno grave della morte di un solo uomo”. Mukwege scuote la testa. Ha le spalle incurvate e gli occhi pieni di sconforto. “Molti uomini credono che lo stupro sia solo un rapporto sessuale non consenziente. Ma non è così. È una distruzione della persona, e nella Repubblica Democratica del Congo va avanti sistematicamente da sedici anni. Sedici anni di demolizione delle donne, sedici anni di disgregazione di una società. E la situazione non fa che peggiorare”».