La paleodieta (o dieta paleolitica) ipotizza di adottare un regime alimentare simile a quello degli homo sapiens prima dell’invenzione dell’agricoltura. Si tratta di una teoria che poggia su basi scientifiche molto fragili (o nulle) ed eccessive semplificazioni, come spiega l’esperta di genetica delle popolazioni Lisa Signorile sul blog Il Tascabile. Riportiamo uno stralcio del suo articolo.

La storia dell’umanità degli ultimi 100.000 anni rappresenta lo sforzo della nostra specie per emanciparsi dalla natura, piegarla a nostro uso e avere un’esistenza meno precaria: al momento sembra che la vittoria sia indiscutibile. Tale è il successo ottenuto che c’è naturalmente qualcuno che ne abusa e, di conseguenza, c’è qualcun altro che pensa che il rimedio per evitare questi abusi sia tornare ai bei tempi andati del paleolitico. Quando la vita media era di trentatré anni, un bambino su tre non arrivava ai quindici anni e coloro che ci riuscivano avevano una speranza di vita complessiva intorno ai cinquantaquattro anni.

Nei paesi industrializzati abbiamo un problema con il cibo, mangiamo troppo e male. Non tutti i nostri geni hanno ancora recepito che abbiamo smesso di essere cacciatori-raccoglitori da 10.000 anni e che ora se vogliamo nutrirci basta andare al supermercato o al ristorante più vicino. Ciononostante, molto è cambiato. Per esempio circa 5.000 anni fa abbiamo cominciato a digerire il lattosio in età adulta, non tutti, ma molti in Europa. Certo, è cambiato anche il clima, ora fa molto più caldo rispetto a 20.000 anni fa, e di conseguenza abbiamo bisogno di meno calorie e meno proteine. Non dimentichiamo che questi aggiustamenti si ottengono facilmente in 800 generazioni grazie al potenziale adattativo, all’epigenetica, alla deriva genetica, a effetti del fondatore e così via, senza dover aspettare le lente mutazioni del DNA. La contraddizione tuttavia dell’esserci evoluti per centomila anni come cacciatori-raccoglitori ed essere diventati “da poco” (evolutivamente parlando) coltivatori e allevatori può essere significativa in alcune popolazioni, manifestandosi in obesità, malattie cardiovascolari e disturbi alimentari assortiti.

Era il 1975 quando il gastroenterologo americano Walter Voegtlin pubblicò il suo libro “La dieta dell’età della pietra in cui, ignaro all’epoca dell’esistenza di adattamenti evolutivi rapidi che prescindessero dalle mutazioni, e forte di concetti “recenti” come quello di ecologia, proponeva il ritorno a una dieta paleolitica, poiché “contro natura non si può andare”, come dice nella sua prefazione. Il presupposto di base (errato, siamo e siamo sempre stati onnivori, tutti i primati superiori lo sono a eccezione di gorilla e oranghi, vegetariani) era che ci fossimo evoluti come specie strettamente carnivora che era passata al consumo di vegetali dopo l’invenzione dell’agricoltura. Non è chiaro perché dei carnivori stretti avrebbero dovuto iniziare a coltivare piante, ma il risultato dell’agricoltura, secondo Voegtlin, è che mangeremmo troppi alimenti inadatti al nostro apparato digerente, e da qui deriverebbero gli scompensi metabolici sofferti da molti americani, come l’obesità. Il libro di Voetglin fu riscoperto circa un quarto di secolo dopo, quando nel 2002 il nutrizionista Loren Cordain pubblicò “The Paleo Diet” il “manifesto ideologico” di questa dieta “secondo natura”. L’idea di base di Cordain è di eliminare tutto quello che ritiene sia stato introdotto nelle nostre diete dopo l’invenzione dell’agricoltura, cereali, derivati del latte, legumi, zuccheri, sale, tè, caffè, bibite gassate, alcol, grassi raffinati, lasciando solo carne, pesce, uova, alcune verdure, frutta, noci e “oli salutari”. L’idea è diventata molto popolare in tutto il mondo, ma la sua efficacia nel migliorare la nostra salute e soprattutto la sua attendibilità scientifica è nulla, e anzi potrebbe addirittura essere dannosa.

[…] Per amor di semplicità, concentriamoci sull’Europa degli ultimi 40.000 anni, in piena era glaciale. I Neanderthal, a causa del freddo e della localizzazione settentrionale, erano specializzati nella caccia a grandi erbivori terrestri. Rispetto a Homo sapiens pare avessero tassi metabolici più elevati e minore efficienza nel termoregolare, e quindi serviva loro più cibo. Secondo uno studio condotto da Bryan Hockett del Bureau of Land Management del Nevada una donna Neanderthal in gravidanza aveva bisogno di almeno 5.500 kcal al giorno, oltre il doppio rispetto a una donna moderna. Un fabbisogno da esploratore polare equivalente a 10 cheesburger grandi al giorno, che renderebbero più che obesa qualunque seguace delle paleodiete moderne. Per chi si volesse cimentare, bisogna ricordare che sfortunatamente i cheeseburger non esistevano, quindi lo stesso studio propone la seguente paleodieta neandertaliana: 2,7 kg di bisonte, mezzo chilo di costolette di cervo e di coda di uro, 60 grammi rispettivamente di cervello, fegato, e lingua, 120 di stomaco, un coniglio intero, 60 grammi di midollo. Togliendo le parti non edibili questo equivale a 2.5 kg di carne al giorno, di cui il 40% sono grassi.

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(Foto di Edoardo Forneris su flickr)