«Per far fronte alle spese di somma urgenza e per le emergenze causate dagli eventi avvenuti nel triennio 2009-2012, abbiamo speso oltre 1 milione di euro al giorno, per un totale di circa 1 miliardo (ma i danni contabilizzati sono il triplo delle risorse stanziate). Nel frattempo, la prevenzione tarda ad arrivare: da un’analisi degli interventi attuati e finanziati fino a oggi elaborata da Legambiente risulta che negli ultimi dieci anni solo 2 miliardi di euro sono stati effettivamente erogati per attuare gli interventi di prevenzione disposti dai Piani di assetto idrogeologico redatti dalle Autorità di bacino, per uno stanziamento totale di 4,5 miliardi di euro». La dichiarazione è del presidente nazionale di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza, ed è stata pronunciata nel corso della Conferenza nazionale sul dissesto idrogeologico che si tenuta il 6 febbraio a Roma.
La prevenzione continua a non essere tra le buone prassi di governo nel nostro Paese, e i danni purtroppo li vediamo anno dopo anno, quando con l’arrivo dell’autunno, o durante le perturbazioni che talvolta si abbattono sui nostri territori anche “fuori stagione”, qualsiasi fenomeno atmosferico di una certa intensità si traduce in dramma. La parola ricorrente è sempre la stessa: emergenza. Eppure, quando si ha a che fare sistematicamente con un fenomeno, non ha senso continuare a viverlo come eccezione. Più responsabile sarebbe mettersi in testa che l’emergenza è la regola in Italia, e quindi impegnarsi a normalizzare una situazione che non è frutto solo delle bizze di madre Natura. Come sottolinea ancora Cogliati Dezza: «Nel frattempo sul territorio continuano a scaricarsi scelte irresponsabili e latitano politiche di inversione di tendenza, basta pensare che nel 31 per cento dei comuni a rischio insistono interi quartieri in aree ad alto rischio idrogeologico, e che finora solo il 4 per cento delle abitazioni e il 2 per cento delle industrie situate in queste aree è stato delocalizzato. In Italia continua a proliferare una sorta di “industria della riparazione” mentre manca quella della prevenzione. Eppure un buon piano strategico per la mitigazione del rischio idrogeologico rappresenta un grande volano per sviluppare la green economy, l’innovazione tecnologica, nuove politiche di gestione del suolo e delle foreste che darebbero un contributo sostanziale alla riduzione delle emissioni di CO2 e allo sviluppo delle aree interne, a vantaggio del riequilibrio territoriale del paese».
Ed è proprio per porre l’accento su queste priorità che si è tenuta la conferenza, che rappresenta solo la prima parte di un percorso di lavoro che mira a fare pressioni sulla politica affinché accolga, almeno in parte, le proposte elaborate dalle tante associazioni, ordini professionali, sindaci, esperti e tecnici che prendono parte al tavolo. Il “programma” discusso durante la conferenza è articolato e presenta una serie di azioni concrete di intervento, a fronte di una relativa individuazione delle risorse economiche necessarie a sostenerle. Semplificazione normativa, funzioni di controllo, preservazione dei bacini idrografici, limitazione del consumo del suolo. Si individua quindi la prevenzione come prima grande opera pubblica, da anteporre ad altre di sicuro impatto mediatico, ma dal minore impatto ambientale. Si denuncia inoltre come dal 2010 non siano più state previste risorse, e sia stato di fatto disatteso il decreto legislativo 152 del 2006, che prevedeva lo spostamento della proporzione tra risorse destinate all’emergenza rispetto a quelle destinate alla prevenzione, a favore di queste ultime, attraverso due strumenti di finanziamento di interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico (ordinario e straordinario). Un programma da seguire con molto interesse, sul quale torneremo anche noi prossimamente.