All’inizio di febbraio il governo ha approvato un disegno di legge che prevede, al termine di un lungo e tortuoso percorso, l’istituzione della cosiddetta autonomia differenziata, ossia una diversa distribuzione di competenze decisionali tra lo Stato e le regioni (a favore di queste ultime). I primi commenti hanno riguardato il percorso normativo stesso. Data la quantità di passaggi previsti e la delicatezza del confronto continuo tra Stato e regioni, c’è chi si chiede se si riuscirà mai a portare a compimento il nuovo assetto amministrativo.

Ma nonostante questo, l’analisi del testo licenziato dal governo è utile per capire il modo in cui quest’ultimo concepisce la riforma, che compariva tra le promesse fatte in campagna elettorale e che probabilmente ha ricevuto una “spinta” in funzione delle elezioni regionali che si sono da poco tenute in Lombardia e Lazio.

Come riporta il Post, «il presidente dell’Ordine nazionale dei medici, Filippo Anelli, ha chiesto che il testo attuale della riforma venga modificato perché in materia di sanità pubblica rischia di “non colmare le differenze che, purtroppo, esistono sul territorio nazionale”».

Una conclusione che trova d’accordo anche Tonino Aceti, presidente di Salutequità, che sul sito dell’associazione ha pubblicato una prima analisi della proposta di riforma. Innanzitutto si rileva come nel testo manchino alcune parole chiave come “equità, uguaglianza, disuguaglianze, controllo, verifica, coinvolgimento, partecipazione, concertazione”. «Ritroviamo invece solo 1 volta la parola “unità”, 2 volte la parola “monitoraggio”, 3 volte la parola “solidarietà”», scrive.

Aceti fa notare come il baricentro del testo sia spostato sul calcolo dei costi piuttosto che sulla valutazione dei bisogni. «La Legge di Bilancio 2023 – scrive Aceti – ha istituito una Cabina di Regia che dovrà provvedere alla ricognizione del quadro normativo e della spesa storica dell’ultimo triennio, sostenuta dallo Stato in ogni Regione, con successiva determinazione dei Lep (Livelli essenziali di prestazione, ndr), costi e fabbisogni standard. Non c’è traccia invece di una ricognizione sui bisogni essenziali e insoddisfatti dei cittadini da garantire mediante i Lep. In questo modo, di fatto, i Lep rischiano di ridursi solo ad un elenco più ordinato di ciò che già viene erogato e preferibilmente compatibile con le attuali risorse. Un approccio che sembrerebbe diverso da quello richiamato dalla Corte dei Conti proprio durante la sua audizione (2021) sull’attuazione dell’autonomia differenziata: “[…] Nel rapporto tra principio dell’equilibrio del bilancio e tutela dei diritti costituzionali, la Corte costituzionale ha precisato l’ordine di priorità? ritenendo necessario, dapprima individuare gli interventi di attuazione dei diritti, di seguito, e di conseguenza, decidere la composizione del bilancio (sentenza n. 275 del 2016)”».

Tra gli altri problemi individuati c’è anche la mancanza di un sistema di monitoraggio, coordinamento e valutazione certo ed efficace, con ulteriore indebolimento del ruolo dello Stato nel controllo dell’efficienza della sanità pubblica.

Un’altra analisi proposta invece da Vittorio Mapelli su Lavoce.info sottolinea come la proposta di riforma non faccia tesoro delle esperienze passate, ripetendo errori già commessi, nonostante la salute sia stata la prima materia parzialmente decentrata alle regioni già alla fine degli anni ‘70 del Novecento. Mapelli fa inoltre notare un dettaglio che purtroppo torna spesso nella politica italiana: «Un’operazione colossale, capace di cambiare per sempre gli equilibri tra stato e regioni, tra cittadini del Nord e del Sud, ma non è stata preparata da nessuno studio o libro bianco, tanto che non si conoscono ancora in dettaglio le funzioni e la spesa storica dello stato da delegare, come riconosce la stessa legge di bilancio 2023 (art. 1 c. 793 L 197/22)».

L’approvazione dei Lea (Livelli essenziali di assistenza) sanitari, prosegue Mapelli, ha richiesto oltre dieci anni tra la loro prima enunciazione in una legge e la loro effettiva definizione (dal 1991 al 2001; furono poi rivisti nel 2017), ma tuttora risulta molto problematica la loro valutazione data la mancanza di indicatori e coperture adeguate. «Pensare di definire in soli tre anni i Lep di 23 diverse materie – dal commercio con l’estero, alla protezione civile, ai porti e aeroporti – sembra pura utopia», sintetizza Mapelli.

Altri elementi di perplessità riguardano il finanziamento, visto che la riforma sembra prevedere un sistema “a somma zero” in cui lo Stato finisce per non avere costi aggiuntivi, e il fatto che si dia per scontato che le regioni saranno sicuramente in grado di gestire in maniera più efficiente le 23 materie a loro delegate.

(Foto di Tatiana Rodriguez su Unsplash)

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