L’energia nucleare, col passare dei decenni, ha suscitato sempre più paure e perplessità nella popolazione. Eppure un tempo c’era grande entusiasmo intorno a questa risorsa. L’astrofisica Silvia Kuna Ballero parla delle alterne vicende della radioattività sul Tascabile.

Il nucleare non gode di buona reputazione. Al di fuori degli ambienti della ricerca, è molto facile che la parola radioattività venga associata a centrali in avaria, funghi atomici, contaminazioni, malattie e morte. L’uso in guerra, gli incidenti noti e quelli nascosti, i test atomici con le loro conseguenze e la paura di atti terroristici, lo hanno reso un nemico subdolo e invisibile, ingigantendo la percezione del rischio atomico rispetto alle sue reali proporzioni.

Eppure non è stato sempre così. Nel febbraio 1921, per esempio, il dottor Charles G. Davis di Chicago scriveva sull’American Journal of Clinical Medicine: “La radioattività è l’essenza stessa della vita […] previene la pazzia, stimola le emozioni nobili, ritarda la vecchiaia e crea una splendida, lieta vita giovanile”. Torniamo allora indietro di un secolo: la Prima Guerra Mondiale è finita e l’Occidente si affaccia al boom industriale ed economico dei “ruggenti Anni Venti”, un’epoca di grandi aspettative nei confronti del progresso scientifico e tecnologico. Tra le nuove mode su cui verte l’attenzione pubblica si possono annoverare due campi giovani della scienza: la radioattività e l’endocrinologia. La radioattività è stata scoperta tra il 1895 e il 1898, in una serie di esperimenti effettuati da Röntgen, Becquerel e i coniugi Curie; l’endocrinologia ha radici più antiche, ma la parola “ormone” fa la sua comparsa solo nei primi del Novecento. Il 1921 vede le due discipline insieme alla ribalta, col premio Nobel per la chimica assegnato a Frederick Soddy per le sue ricerche sugli elementi radioattivi e con l’annuncio della scoperta dell’insulina da parte di Frederick Banting e Charles Best, che fruttò a Banting il Nobel per la medicina due anni dopo. Nel 1921, inoltre, Marie Curie visita gli Stati Uniti in un tour che, sebbene molto breve, suscita grandissimo interesse.

Insomma, gli ormoni come l’insulina sono coinvolti nei processi che imbrigliano e ridistribuiscono l’energia nell’organismo. E la radioattività è la nuova forma di energia. Si pensò così che la maggior parte delle malattie si potessero imputare a uno squilibrio ormonale, e che piccole dosi di radioattività potessero essere la cura. Non fu una conclusione del tutto casuale. Da una parte, la radioterapia si stava rivelando una valida alternativa a operazioni chirurgiche deturpanti o invasive nella lotta contro i tumori; dall’altra, da tempo si cercava di scoprire l’origine del potere curativo (o presunto tale?) di numerose fonti termali, come quelle di Hot Springs in Arkansas, di Bramach in Germania o di Joachimstal in Austria, che erano considerate una panacea per una quantità di malattie come l’artrite, i reumatismi, la dispepsia gastrica, la flatulenza e le lesioni croniche della pelle.

Nel 1903 Joseph J. Thomson, scopritore dell’elettrone, aveva scritto alla rivista Nature di aver misurato bassi livelli di radioattività nelle acque di fonte. Sembrò dunque naturale dedurre che i benefici per la salute derivassero dalla radioattività; un’idea corroborata dalle dichiarazioni di numerosi medici, tra cui il dottor Charles G. Davis citato in apertura. I danni causati dall’esposizione ad alte dosi di radioattività erano ben noti, ma i medici seguivano la scuola di pensiero secondo cui le radiazioni, somministrate in piccole quantità, mostravano al contrario proprietà curative.

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(Foto di Umanoide su Unsplash)