Il cammino verso il referendum che si terrà il 12 e 13 giugno sta seguendo un itinerario tortuoso. Ne dà un’idea piuttosto chiara l’infografica elaborata da Linkiesta. Sembra che a qualcuno non vada giù l’idea che i cittadini si possano esprimere su questioni che li riguardano da vicino, e che riguarderanno le generazioni future di nostri concittadini. Pare, e questo dà l’idea della gravità della situazione, che solo il 20 per cento degli italiani sia a conoscenza dell’imminente consultazione. Tra i perché di questa stima, ha certamente un ruolo rilevante il ritardo con cui la Commissione di vigilanza Rai ha approvato il regolamento sull’informazione pubblica sui referendum, che ha visto la luce solo il 5 maggio (un mese dopo l’indizione del referendum), riducendo così a poco più di un mese l’obbligo per il servizio pubblico a ospitare tribune referendarie, trasmettere messaggi autogestiti, organizzare trasmissioni di approfondimento e inserire l’informazione nei telegiornali. In una sorta di attacco incrociato, il 20 aprile è arrivata l’approvazione di un pacchetto di norme tra i cui articoli è prevista una sospensiva sull’eventuale costruzione di centrali nucleari in Italia. In questo modo, a nostro avviso, si fa passare l’idea che il quesito sull’atomo, previsto dal referendum, non abbia più validità, e che sarà espunto dal testo che ci troveremo tra le mani alle urne. In realtà, mancano alcuni passaggi non da poco. Innanzitutto la legge, approvata alla Camera, dovrà essere votata al Senato, cosa che potrebbe avvenire a stretto giro di posta; poi la palla passerà al Presidente Giorgio Napolitano, per la firma. A quel punto toccherà alla Corte di cassazione esprimersi, e decidere se alla luce della nuova legge il quesito non abbia più ragion d’essere, o vada modificato nella sostanza. Come si può ben vedere, la situazione è quindi tutt’altro che definita.
A gettare ulteriore scompiglio l’annuncio del ministro allo Sviluppo economico Paolo Romani di voler attivare un’autority per il settore idrico, «in modo che vengano fissate prima le regole del gioco sia per gli interventi da fare che per le tariffe». Come a dire, state tranquilli, siamo pronti a dare la gestione dell’acqua ai privati, ma le linee guida le decide la politica. Ed ecco che si sgonfiano anche i due quesiti sul tema, di cui abbiamo parlato in un precedente post. Resta un ultimo, “innocente” quesito da sciogliere, quello sul legittimo impedimento. Nella confusione generata da questo susseguirsi di leggi e annunci, ci stiamo dimenticando che gli elettori saranno chiamati a esprimersi anche su una norma decisamente controversa, che riguarda molto da vicino le sorti giudiziarie del presidente del Consiglio. Nessuna tra le grandi testate nazionali sembra dare troppo peso alla cosa, e tra i nostri rappresentanti in Parlamento sono rarissime le voci che si alzano a far notare la strana equazione. Come mai? Un’altra domanda ai nostri politici (di ogni schieramento): perché portare avanti un referendum per poi fare di tutto per cercare di condannarlo all’insuccesso, buttando al vento 350 milioni di euro? Visto il panorama economico in cui versa il Paese, è un gesto assolutamente irresponsabile. Con quei soldi si potrebbero finanziare opere concrete per la comunità, invece di usare il quorum a fini elettorali. Perché alla fine, se quorum non sarà, al di là di ciò che diranno, avranno perso tutti. Per questo, noi il 12 e il 13 giugno andremo a votare.