Ha fatto discutere il caso della ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, accusata da un articolo di Repubblica di aver copiato parte della propria tesi di abilitazione all’insegnamento di sostegno. Azzolina non ha smentito, ma ha cercato di minimizzare. Bianca Terracciano, su Doppiozero.com, presenta alcune riflessioni sui problemi etici che questo fatto implica. Ne riportiamo un estratto.
Copiare significa riciclare e ripetere contenuti generati dallo sforzo intellettuale di un altro, plagiato e depauperato del suo lavoro negandogli i dovuti riconoscimenti.
Si tratta di, parafrasando Umberto Eco nel Trattato di semiotica generale, “falsificare un modo di invenzione” in maniera acritica, riducendo l’atto creativo a una catena meccanica di click – seleziona -tasto-destro- copia – incolla – senza neanche provare a comprendere “le proprietà pertinenti su cui si basa il potere significante dell’occorrenza espressiva”. Insomma, in altri termini, si danno per buone le affermazioni altrui per prestigio o affinità tematica, spesso facendo valere l’assunto principale della post-verità “se è pubblicato online allora è vero”.
Il Web ricorda tutto, a tratti anche troppo. Sempre Eco, in diverse occasioni, ha puntualizzato o rischi dell’eccesso di memoria facendo l’esempio di Funes el Memorioso di Borges e caldeggiando l’introduzione di “stelloncini” per segnalare la qualità delle informazioni. Il Web può aiutare a “barare” ma il suo essere un vastissimo bacino di conoscenza lo un’arma a doppio taglio, perché, per dirla con Borges, ogni parola, ogni azione dura “nella sua implacabile memoria”, dunque anche gli indizi utili per risalire al misfatto. Non esiste il “delitto perfetto” in letteratura, scientifica e non, proprio in virtù dei suoi supporti: carta e file registrano ogni traccia e – ironia della sorte – la disseminazione di copie, nel senso di repliche, impedisce la distruzione delle prove.
Copiare uno scritto senza citarlo presenta due punti critici: è una pratica deviante, correlata al reato di plagio, ed esprime un disvalore sia di azione, come si legge nei manuali di Diritto penale, che di oggetto, poiché, in quanto replica o “brutta copia”, non condivide le stesse proprietà semiotiche dell’originale, non debitamente processate e rielaborate, ma soltanto trasposte, collocate diversamente. Ovviamente l’originale, come ricorda lo stesso Eco, o, ancora, Edgar Morin e altri, possiede un valore feticistico che, se debitamente riprodotto, indi con i dovuti riconoscimenti, non subisce variazioni, anzi, può essere accresciuto. Mi riferisco al discrimine tra falso o plagio e replica perfetta, che nei testi scritti potremmo far equivalere a una citazione riportata con i dovuti riferimenti bibliografici e gli adeguati segni di interpunzione, inseriti a seconda delle norme di stesura.
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