Nel 2020 la Commissione europea ha avviato 33 nuove procedure d’infrazione contro l’Italia per il mancato rispetto delle norme comunitarie. Tra queste, a inizio dicembre è stata mandata una prima lettera messa in mora in merito al sistema di assegnazione delle concessioni balneari. Come spiegavamo alcuni mesi fa, l’Italia era da tempo in forte ritardo nel recepimento della direttiva europea che regola la materia, concepita per favorire una maggiore concorrenza nella gestione dei preziosi tratti costieri su cui nel corso dei decenni sono state costruite imprese commerciali dai fatturati talvolta milionari (oltre a una serie di tante micro-imprese a gestione familiare). Per riassumere, il problema dell’Italia è che il corrispettivo pagato allo Stato da parte degli stabilimenti balneari è fermo da moltissimo tempo, e proprio l’estate scorsa è passato un emendamento (all’interno del “decreto Rilancio”) che blocca la situazione fino al 2033. Si tratta di una situazione che avvantaggia soprattutto le grandi imprese, che si ritrovano a pagare cifre ridicole rispetto al loro giro d’affari, e che svantaggia nel complesso la collettività visto che lo Stato potrebbe raccogliere molte più risorse con un sistema più equo e competitivo. Alberto Heimler su Lavoce.info fa notare che mettere periodicamente a gara le concessioni potrebbe non essere la soluzione ideale: «È possibile che l’incentivo del gestore a fornire servizi di qualità si attenui vicino alla scadenza, contribuendo a rimandare investimenti o altri interventi che avrebbero beneficiato i consumatori. Infatti, il valore di un’autorizzazione per gestire uno stabilimento già esistente (e noto al pubblico) è ben superiore al valore di una nuova autorizzazione per lo sfruttamento di un arenile ancora libero, o a un’autorizzazione per uno stabilimento di qualità più modesta. La soluzione è trovare un tipo di gara che non produce questi effetti negativi». Vi rimandiamo al suo articolo per i dettagli tecnici della proposta, che porta degli spunti interessanti e dà conto della complessità della materia. In ogni caso l’atto formale della Commissione europea impone all’Italia di cambiare atteggiamento.
Le altre procedure aperte
Attualmente l’Italia ha 85 procedure di infrazione pendenti, come riporta l’approfondimento di Openpolis. Oltre la metà sono ancora ferme alla prima fase, che consiste appunto nell’invio della “lettera di costituzione in mora”. «Quattordici (il 16,47 per cento) sono al secondo passaggio – scrive Openpolis –, il parere motivato da parte della commissione, mentre per altre 17 (20 per cento) la commissione ha già fatto ricorso alla Corte europea di giustizia. Circa il 91,8 per cento delle procedure è quindi ancora sotto la normativa dell’articolo 258 (del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, ndr). Sono 7 invece quelle che ad oggi si trovano nell’ambito dell’articolo 260 per cui sono già state quindi richieste sanzioni economiche». L’Italia è attualmente il quarto paese europeo per numero di procedure pendenti. Prima di noi la Spagna (100 procedure avviate), il Regno Unito (97) e la Grecia (90).
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Come si può vedere nel grafico, dal 2014 l'Italia aveva visto scendere costantemente le procedure in corso, che hanno ricominciato a salire con l'attuale legislatura e il passaggio dal governo Gentiloni al governo Conte I. A partire da giugno 2020, però, il trend è di nuovo in calo. «Per quanto riguarda i settori maggiormente interessati da procedure di infrazione nel nostro paese abbiamo: l'ambiente (24), trasporti e mobilità (12), industria e mercato (10) e tassazione e dazi (9)».
(Foto di KaLisa Veer su Unsplash)
Noi ci siamo
Quando è nata Avis Legnano i film erano muti, l’Italia era una monarchia e avere una radio voleva dire essere all’avanguardia. Da allora il mondo è cambiato, ma noi ci siamo sempre.