L’11 febbraio 2013 non sarà ricordato solo come il giorno in cui Papa Benedetto XVI ha deciso di tornare a essere semplicemente Joseph Ratzinger, ma anche come data in cui la Corte europea dei diritti umani ha bocciato il ricorso presentato dal governo italiano in seguito a un’altra bocciatura: quella della legge 40 sulla procreazione assistita (con sentenza della stessa corte del 28 agosto 2012). La storia l’abbiamo seguita a suo tempo e, se volete, potete andare a rileggere i termini della questione. In sostanza, la corte conferma l’incoerenza insita nel sistema legislativo italiano, per cui se in una coppia c’è una persona affetta da malattie geneticamente trasmissibili, è vietata la verifica degli embrioni in modo da impiantare solo quelli sani, ma poi, se si scopre che il feto è affetto dalla malattia, è possibile abortire. Un’incongruenza foriera di sofferenze inutili per molte famiglie, che dovrà essere corretta dal Parlamento con una modifica della legge.
«È una vittoria della cultura laica e un’affermazione dei diritti delle persone che vorrebbero avere un figlio», ha dichiarato Filomena Gallo, segretario dell’associazione Luca Coscioni, che insieme all’avvocato Nicolò Paoletti ha patrocinato il ricorso davanti ai giudici di Strasburgo della coppia Costa-Pavan, i coniugi portatori sani di una malattia genetica che lamentavano di non poter ricorrere all’analisi embrionale per la fecondazione assistita. Sempre secondo la segretaria dell’associazione, occorre andare oltre la questione dell’analisi pre-impianto e rivedere tutta la legislazione sulla fecondazione assistita: «Il futuro Parlamento non potrà più ignorare i diritti di tante persone e cancellare la legge 40». Le motivazioni del ricorso non hanno quindi convinto la corte, che non ha modificato il suo giudizio rispetto a sei mesi fa. Il governo sosteneva che il divieto imposto dalla legge 40 deriva dalla preoccupazione di tutelare la salute del bambino e della donna nonché la dignità e la libertà di coscienza delle professioni mediche, ma anche di evitare il rischio di derive eugenetiche. Un rischio tanto pericoloso che tale restrizione in Europa resta valida, oltre che in Italia, solo in Svizzera e Austria. Non ci risulta che gli stessi che oggi non vogliono cambiare la legge abbiano mai tacciato di praticare l’eugenetica altri Paesi. Il rifiuto di cambiare la legge implica come minimo un’aspra critica a chi permette tali interventi. E invece si lascia che le coppie italiane sperperino soldi e tempo per realizzare all’estero i propri sogni, evitando così inutili inconvenienti e potendo tutelare la propria salute e quella della prole. La realtà è che, nonostante si dica il contrario, l’Italia non è un Paese laico, e su certe decisioni i nostri politici di ieri, di oggi e probabilmente di domani continuano a non riuscire a pensare e agire in maniera indipendente. Ancora una volta, il Paese reale è ben più avanti di coloro che sono eletti a rappresentarlo.