Un nuovo rapporto di Privacy International rivela una tendenza preoccupante: le informazioni raccolte attraverso la sorveglianza delle proteste vengono sempre più spesso utilizzate come prove nei procedimenti penali contro attivisti, difensori dei diritti umani e manifestanti. Questa pratica, che si verifica in Europa, Asia, Africa e nelle Americhe, solleva serie preoccupazioni sul diritto a un processo equo. La sorveglianza, spesso condotta in segreto e senza trasparenza, comprende metodi come il monitoraggio dei social media, la tecnologia di riconoscimento facciale e altri tipi di tracciamento digitale. La mancanza di trasparenza si estende a come vengono raccolte le informazioni, a chi vengono condivise e a chi può accedervi.

Il rapporto sottolinea che questa sorveglianza avviene spesso senza un ragionevole sospetto, violando il diritto alla privacy. Di conseguenza, le prove presentate in tribunale possono essere fuorvianti, soggette a cancellazione o addirittura a falsificazione, anche di informazioni a discarico. Ciò rende difficile per gli imputati contestare le informazioni utilizzate contro di loro, minando la loro capacità di partecipare efficacemente al procedimento, una componente fondamentale di un processo giusto.

La ricerca indica che si tratta di un problema diffuso che riguarda gli attivisti sia in contesti autoritari che democratici. Il rapporto osserva che gli Stati spesso invocano la necessità di mantenere l’ordine pubblico e la sicurezza nazionale per giustificare l’uso della sorveglianza. Tuttavia, il diritto internazionale dei diritti umani stabilisce che tali misure devono essere proporzionate e necessarie.

In Europa, il rapporto cita diversi casi concreti che illustrano queste preoccupazioni. In Serbia, ad esempio, durante le proteste per il cambiamento climatico del 2021, sono stati osservati agenti in borghese non identificati che filmavano i manifestanti con dispositivi sconosciuti. Il governo ha inoltre distribuito migliaia di telecamere di sorveglianza dotate di tecnologia per il riconoscimento facciale (FRT). In seguito alle proteste, centinaia di persone sono state arrestate e accusate di infrazioni minori al codice della strada, sebbene il governo abbia negato l’uso di FRT. Un avvocato che rappresenta i manifestanti ha rivelato che molti sono stati arrestati in luoghi lontani dalle manifestazioni, mettendo in dubbio l’affermazione che la polizia abbia osservato direttamente i manifestanti. In Francia, il rapporto rileva l’uso di rapporti di intelligence (“notes blanches”) per limitare la libertà degli attivisti ambientali attraverso ordini di arresto domiciliare. Questi rapporti contengono informazioni ottenute attraverso una sorveglianza intrusiva, compresi i metadati dei telefoni cellulari e l’analisi dei video di YouTube, ma la provenienza di queste informazioni è spesso poco chiara e non trasparente. Inoltre, in Russia, la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha condannato le autorità per l’utilizzo di video sorveglianza e FRT in diretta come prova nel caso Glukhin contro Russia, in cui un attivista era stato arrestato per non aver notificato alle autorità una protesta programmata. La Corte ha ritenuto che le misure di sorveglianza utilizzate per identificare, arrestare e incriminare il ricorrente avessero interferito con il suo diritto alla privacy e alla libertà di espressione.

L’uso dei dati di sorveglianza nei procedimenti penali solleva significative preoccupazioni relative al giusto processo. L’opacità che circonda la raccolta e la gestione dei dati di sorveglianza rende quasi impossibile per gli imputati contestarne l’accuratezza e l’integrità. Questa mancanza di trasparenza ha un impatto sulla parità delle armi e sul diritto al contraddittorio, che sono fondamentali per un processo equo.

Privacy International chiede misure di salvaguardia urgenti per impedire l’uso di prove raccolte illegalmente nei procedimenti penali. Tali garanzie dovrebbero garantire la trasparenza nella raccolta delle prove e fornire agli imputati meccanismi per contestare e commentare le prove utilizzate contro di loro. PI propone un processo di revisione per tutte le informazioni digitali prima che siano ammesse come prove nei processi. La revisione dovrebbe includere un controllo indipendente per verificare l’accuratezza e l’imparzialità dei dati di sorveglianza, nonché la cancellazione di qualsiasi dato raccolto illegalmente. Inoltre, il rapporto sottolinea la necessità di formare giudici, pubblici ministeri e forze dell’ordine per valutare criticamente le prove ottenute attraverso queste misure di sorveglianza. La questione del crescente ricorso ai dati di sorveglianza nei procedimenti penali contro gli attivisti è un problema che riguarda tutte le nazioni, a prescindere dal loro livello di stato di diritto.

(Foto di Chris Yang su Unsplash)

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